Haydn tra dolore e redenzione nel suo ispirato «Stabat Mater»
Ultimata nel 1767, fu una delle prime opere scritte dopo la nomina dell'artista a Kapellmeister presso la corte degli Esterházy, la nobile famiglia ungherese alle cui dipendenze avrebbe lavorato per circa quarant'anni. La partitura è densa di rimandi alla severa scuola contrappuntistica, come anche alle istanze stilistiche a cavallo tra estetica barocca e classicismo, volta soprattutto alla ricerca di una finissima espressione degli affetti attraverso i cosiddetti "madrigalismi" e la resa musicale di alcune parole chiave (come «lachrimosa», «pendebat» o «tremebat») che descrivono i moti dell'animo della Madonna ai piedi della Croce. Una grammatica del dolore declinata alla luce della predominanza di movimenti lenti e di tonalità minori, dove gli episodi affidati ai cantanti solisti trovano richiamo ed enfatizzazione negli interventi da parte della compagine corale, quasi un'eco chiamata a ribadire i sentimenti collettivi di amore, sofferenza e anelito alla redenzione evocati dal testo.
È questo l'orientamento interpretativo verso cui sembra muoversi l'incisione discografica realizzata dal New York Trinity Church Choir e dalla Rebel Baroque Orchestra sotto la direzione di Owen Burdick (cd pubblicato da Naxos e distribuito da Ducale), tra oasi di austera spiritualità (il dolente afflato del "Quis non posset contristari" e la commovente tenerezza del "Vidit suum") e spunti di intensa teatralità (la vibrante inquietudine del "Qui est homo" o il raggelante rarefarsi della trama sonora del "Quando corpus morietur"), in un cammino di autentica devozione che, attraverso la contemplazione della bellezza, arriva dritto al cuore della religiosità haydniana: di una fede positiva, lieta e fiduciosa, ma nel contempo nobile, profonda e fortemente radicata.