Raggiunsi Colmar un’estate pazza di tanti anni fa dopo aver noleggiato un’auto da Bologna all’unico scopo di vedere, nel museo d’Unterlinden il Cristo crocifisso compreso nell’altare di Issenheim dipinto da Matthias Grünewald in quattro anni di travaglio creativo dal 1512 al 1516. Quasi seicentocinquanta chilometri guidando lucido e trasognato da Chiasso alla galleria del San Gottardo, da Lucerna a Basilea, con una sola sosta in un grill svizzero nell’atmosfera europea di piccoli maestri della finitudine. Di Colmar ricordo poco o niente. Soltanto il parcheggio di fronte al vecchio convento e la mia tensione conoscitiva. Poi l’opera. Gli ebrei che picchiano Gesù, nei quadri antistanti, raffigurati come spregevoli, ci fanno capire tutto l’antisemitismo tedesco anche pre-luterano. I mostri con pelle vizza e arrossata, unghie spezzate, aquile deformi, muco che scende dal naso dei diavoli, indicano la presenza diffusa, qui ed ora, non chissà dove e quando, del male in piena azione. Cristo, fra Maria bianca spettrale, Giovanni che la sorregge, la Maddalena a terra e il Battista consapevole, è un crash di piaghe e spine, l’uomo che si dispera per non aver forse compreso il proprio ruolo, la sua buona volontà messa a dura prova. Una speranza recisa che pure non smette di palpitare.
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