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Greenwashing, ovvero furto di risorse e futuro

Franco La Cecla giovedì 11 febbraio 2021
I prossimi dieci anni saranno probabilmente i più importanti nella storia dell'umanità dalle sue origini. È strano scriverlo ed è strano sentirselo dire, ma purtroppo è molto vicino al vero. Saranno le politiche ambientali, produttive, urbanistiche, energetiche a decidere se avremo un futuro decente e vivibile o se entreremo in una situazione di costante minaccia. Non lo dicono solo le associazioni ambientaliste, che avvertono, per altro, che il pericolo è che i miglioramenti dovuti a politiche e a investimenti accorti potrebbero essere rovesciati per un programma mondiale di protezione civile. Catastrofi ambientali, innalzamento del livello delle acque, cambiamento climatico risucchierebbero buona parte delle risorse destinate alla "sostenibilità". Metto tra virgolette questa parola, appiccicosa, gommosa, pericolosa di cui ormai tutti si riempiono la bocca, da terrapiattisti a olgettisti a papeetisti, da accademici a medici, da architetti ad amministratori di qualunque colore. Una parola che trascina con sé una fetta consistente dei miliardi del Recovery e del Mes (se ci sarà) e che da qualche tempo illumina le pelate dei banchieri e dei big della finanza.
Ma andiamo con calma. Quello che sta avvenendo sotto i nostri occhi è una accelerazione improvvisa e inaspettata. Spesso le politiche ambientali ed energetiche di alcuni Paesi, come la Germania o della Cina, sono più veloci delle stesse proposte degli ambientalisti. Sta accadendo che agli occhi informati della finanza, delle assicurazioni e delle banche la situazione ambientale è talmente compromessa che l'unico settore in cui ha senso investire sono le rinnovabili, l'allontanamento dagli allevamenti animali e il rallentamento della pesca, la protezione delle risorse naturali, la trasformazione della mobilità e delle città. È nel settore della "sostenibilità" che queste forze vedono un reale interesse a investire. Per la prima volta da decenni è chiaro che una mancanza di svolta radicale – abbandono di petrolio e gas – innovazione nell'immagazzinamento dell'energia proveniente dai movimenti ondosi o dal vento – (addirittura si parla di come estrarre oggi cherosene dall'aria) renderebbe le nostre economie incapaci di sfuggire al collasso e al meltdown del disastro ambientale.
Forse per la prima volta l'Italia potrebbe cominciare a collaborare davvero con la Germania e altri Paesi europei
per avere un piano energetico comune. Ma Roma che cosa ha da offrire? Perfino un'occasione come il G20 di cui quest'anno abbiamo la presidenza mostra che l'Italia è impantanata nella retorica. Se date un'occhiata al sito del G20, a parte una ragazza ammiccante, non c'è nulla di serio, solo greenwashing. E qui arrivano le dolenti note. Ursula von der Leyen, presidente della Commissione Europea, ha annunciato il nuovo Green Deal con l'idea di una nuova Bahuaus europea che dovrà esplorare modi di vita post-pandemia, sostenendo che bisogna intrecciare sostenibilità e stile. La risposta sembra l'operazione di greenwashing che è in atto oggi da parte di compagnie, aziende, professionisti e amministratori. Nulla ne è il simbolo più adeguato dei padiglioni con la primula, del bosco verticale contrabbandato come risanamento ambientale e delle pubblicità dei Suv. Ma a esso si aggiungano le politiche "sporche" delle aziende petrolifere che promettono un cambiamento al 2050, quando il mondo sarà bell'è che finito. Con che coraggio compagnie che continuano a investire sul fossile oggi si dichiarano propugnatrici di una svolta ambientale (e si propongono come educatori in questo campo)?
La pioggia di soldi europei che stanno arrivando sulla sostenibilità rischia di finire nelle mani e nelle tasche degli stessi responsabili della crisi in cui viviamo. E invece c'è bisogno di concentrarsi sull'idea di One Health: la lotta alla pandemia è una sola cosa con il risanamento ambientale, altrimenti avremo una popolazione guarita dentro a un ambiente malato.