A noi generazione Happy Days hanno insegnato che solo due cose uniscono da sempre il Paese: la Nazionale di calcio e il Festival di Sanremo. Questo Festival, chiude con una grande novità: il presunto razzismo all’Ariston. I fischi per la vittoria della serata delle cover al rapper napoletano Geolier, sono state lette come un episodio di razzismo. Noi, propendiamo per un semplice quanto plateale dissenso di gusti espresso dal pubblico in sala. Sugli attacchi di violenza verbale e di intolleranza gratuita fonte social, che vanno da “Geolier napoletano di m….” e “togliete il televoto ai napoletani”, invece possiamo scendere nel terreno fangoso del razzismo. Sull’argomento si è espresso ampiamente in musica e parole il rapper Ghali. Da figlio di tunisini, cresciuto nel popolarissimo quartiere milanese di Baggio, rivendica da sempre «sono un italiano vero» tanto quanto Totò Cutugno. E dopo la canzone di protesta antisalviniana Cara Italia a Sanremo ha presentato una sorta di sequel, Casa mia introdotta da un saggissimo: «Non esistono paesi razzisti, nè persone razziste. Esiste intolleranza e ignoranza». Ecco la parola chiave che spiega gli insulti rivolti a Geolier: ignoranza. Le parole dell’odio travasate nel serbatoio della gara canora, in cui le fazioni che assistono partigiane assai ballerine si combattono a colpi di mouse e di FantaSanremo. È paradossale ammetterlo, ma il popolo della Rete è vittima di troppa libertà di espressione. Ci sono tribù virtuali, che vigliaccamente non ci mettono neanche la faccia e si nascondono puntualmente nei loro dieci-cento nickname. La loro vita è uno stupido carnevale in cui indossano sempre una maschera diversa che all’occasione gli serve per colpire e ferire a morte. Piovono pietre virtuali che feriscono pesantemente tutti i giorni su poveri anonimi, figurarsi che pioggia di meteoriti sono costretti a subire e schivare i ricchi e famosi. A questa categoria appartengono ovviamente anche i big di Sanremo che vengono ascoltati per cinque giorni da quasi tutto il Paese reale, ma poi c’è la solita
manovalanza che opera alla macchina del fango, che giudica e processa per direttissima come sta facendo in queste ore con Geolier. Il
quale, da tifoso del Napoli ricorderà che il signor Malaussène dei nostri stadi per anni è stato il difensore franco-senegalese Koulibaly. Qui non c’è di mezzo neppure il colore della pelle, il nero Koulibaly, ma quell’ignoranza che collega sempre il napoletano e qualsiasi espressione del talento partenopeo a Gomorra. Geolier è di Secondigliano a un passo da Scampia è cresciuto un una famiglia operaia che si ispira all’unico vero “clan” di Napoli, quello della “legalità” che fa capo alla Palestra Judo Star a O Mae’ Gianni Maddaloni. Ringraziamo di una sola cosa Amadeus, di aver ammesso alla gara un testo in napoletano come I p’me tu p’te. A Geolier auguriamo una lunga carriera e di poter dire ai suoi detrattori quello che disse un altro illustre napoletano del bel canto, Enrico Caruso: «I miei dischi saranno la mia biografia».
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