Graffiti urbani, il «rovesciamento» anarchico della pubblicità capitalista
Quello che mi ha sempre colpito nei graffiti è che: 1) sono anonimi e collettivi, 2) sono tutti uguali o troppo simili, 3) non significano, fingono una lingua enigmatica e aliena, 4) sono dovunque. In essi si manifesta soprattutto il desiderio di occupare spazio, ogni spazio vuoto e libero. Dunque: horror vacui. Sono inoltre il trionfo dell'ermetismo, dell'incomprensibile. Il trionfo di chi ripete: noi ci siamo e non abbiamo nessun senso, non sappiamo cosa dire ma vogliamo dire. Lo spazio pubblico non è di tutti, è di chi si prende la libertà di espandersi senza chiedere il permesso. I graffiti sono una forma di innocente ma aggressivo inquinamento culturale. Per ammissione degli stessi graffitari, sono il rovescio anarchico della pubblicità. La pubblicità la fanno i capitalisti, i graffiti li fanno i disoccupati. Ma tra loro c'è una strana somiglianza. Del resto, almeno da Andy Warhol in poi, molta arte moderna nasce da un' alleanza fra pubblicità e imbecillità.