L’introduzione della possibilità di un terzo mandato consecutivo per i presidenti delle Regioni è un tema che riemerge di frequente nel dibattito politico, per lo più in rapporto alla sorte di alcuni personaggi di notevole popolarità che sono al secondo incarico e quindi in prospettiva non potrebbero ricandidarsi. Ma il tema andrebbe valutato per la sua autonoma e cospicua rilevanza istituzionale, a prescindere dai soggetti in campo. Il ruolo dei presidenti delle Regioni, infatti, è cresciuto in maniera esponenziale per l’effetto combinato dell’elezione diretta e dell’ampliamento delle competenze degli enti regionali.
L’uso giornalistico del termine “governatore”, per quanto improprio, testimonia in modo efficace la percezione di un potere vasto e solido. Il legislatore nazionale era stato quindi lungimirante quando, fissando «in via esclusiva, ai sensi dell’articolo 122, primo comma della Costituzione, i princìpi fondamentali concernenti il sistema di elezione e i casi di ineleggibilità e di incompatibilità del presidente e degli altri componenti della giunta regionale», aveva previsto la «non immediata rieleggibilità allo scadere del secondo mandato consecutivo del presidente della giunta regionale eletto a suffragio universale e diretto, sulla base della normativa regionale adottata in materia» (dagli artt. 1 e 2 della legge 165 del 2004). I dieci anni corrispondenti a due mandati pieni sembrano oggettivamente un tempo congruo. Oltre questo limite c’è il rischio concreto che si cristallizzino situazioni di ampio potere personale. Un esito che non arricchisce la vita democratica del Paese, quale che sia il giudizio di merito sull’operato delle singole personalità.
A onor di cronaca, non sono mancati in questi anni presidenti di Regione eletti a suffragio diretto che hanno “governato” per più di due mandati. Le norme, si sa, vanno interpretate, e in prima battuta è prevalsa la linea secondo cui la legge del 2004 non potesse essere applicata retroattivamente. Dunque il conteggio andava eseguito solo a partire dai mandati successivi. Per questo motivo Vasco Errani (Emilia-Romagna), Giancarlo Galan (Veneto) e Roberto Formigoni (Lombardia) hanno potuto ricandidarsi nel 2010 pur avendo almeno due incarichi alle spalle. Controversa, molto controversa, è soprattutto l’interpretazione del richiamo alla normativa regionale che compare nella stessa legge del 2004. Quest’ultima è immediatamente applicabile oppure la sua effettività scatta quando la Regione la recepisce con norme proprie? In Veneto hanno optato per questa seconda ipotesi. La legislazione regionale che ha accolto il divieto del terzo mandato è arrivata nel 2012 ed è per questo motivo che Luca Zaia si è potuto ricandidare non soltanto nel 2015 ma anche nel 2020.
Adesso che questa sorta di lunga fase transitoria si è esaurita, dalla Conferenza delle Regioni arriva la richiesta di abolire in radice il limite dei due mandati consecutivi, modificando la normativa nazionale. Un tentativo è stato compiuto già in occasione dell’ultima legge di bilancio. Nella Conferenza c’è un consenso quasi unanime sulla richiesta, ha ribadito il presidente dell’organismo Massimiliano Fedriga, all’indomani della sua plebiscitaria rielezione in Friuli-Venezia Giulia. Non è difficile immaginare un’intesa bipartisan tra i “governatori” su un argomento che li riguarda così da vicino. In Parlamento, chissà.
© riproduzione riservata