Gli storici cercano ancora la verità o lottano per la giustizia?
Piccolo libro e anche contraddittorio, perché l'amplissima prefazione di Antoine Arjakovski (condirettore del Collegio dei Bernardini di Parigi, dove Benedetto XVI tenne l'indimenticabile discorso sulle responsabilità culturali dell'Europa, nel 2008), per due terzi enumera e incensa i meriti di Pierre Nora, ma alla fine prende le distanze «da una coscienza storiografica neutrale sul piano dell'etica (l'approccio di Pierre Nora)», in nome di una non chiarissima “teantropia”, come «dialogo tra la saggezza non creata (la coscienza divina) e la saggezza creata». Personalmente, ritengo utile tenere distinta la storia dalla teologia della storia, quest'ultima basandosi sulle ricerche degli storici.
Anche il primo intervento di Nora, “Un esercizio di ego-storia”, è contraddittorio perché, nell'esporre il suo modo di essere storico sconfessa il suo biografo François Dosse (pur lodandolo con gratitudine) che credeva di aver individuato la “chiave” del suo pensiero nella sua doppia identità di ebreo e di francese. Le cose, secondo l'interessato, sarebbero più complicate e c'è da credergli, ma lasciamolo lì.
Il pezzo veramente forte è il secondo intervento di Pierre Nora, “Lo storico, il potere, il passato”. L'uso politico della storia, constata l'autore, non è un problema recente, perché gli storici (e i poeti, aggiungiamo ricordando Virgilio) sono sempre stati chiamati a legittimare le genealogie regali, i miti di fondazione, i modelli civili. Anche quando la storia aveva già cercato di organizzarsi in autonomia, Pierre Lavisse, considerato il padre della storiografia moderna francese, poteva scrivere, nel 1891, che il primo dovere della storia era quello «di fare amare, conoscere e comprendere la Patria».
La dimensione scientifica e quella politico-civica s'intrecciano anche oggi, con l'aggravante della crescente intrusione della giustizia nella storia, per cui la storia è sempre più spesso enunciata secondo la prospettiva delle vittime e dei “testimoni”. E si arriva alla storia per legge dello Stato, come è avvenuto in Francia con la legge Gayssot che dal 1990 punisce la negazione del genocidio degli ebrei. Pierre Nora, ebreo e antinazista, ha sempre combattuto questa invasione dei legislatori nel campo degli storici: «Agli esponenti politici spetta l'omaggio, il riparare i torti subiti dalle vittime, onorare la loro memoria e organizzare commemorazioni. Agli storici, invece, tutto il resto: stabilire i fatti, cercare la verità, proporre interpretazioni, senza vincoli né tabù».
Nora mette in guardia anche contro l'estensione abusiva del concetto di “crimine contro l'umanità”, sorto giustamente per «affermare che gli autori dei crimini possano essere perseguiti fino alla loro morte, ma in nessun caso che, dopo la morte dei responsabili di questi crimini, i criminali siano gli storici che li discutono!». Tradizionalmente, la storia si trasmetteva attraverso la memoria dell'umanità, di generazione in generazione, e il potere, «direttamente o indirettamente, ne era il gestore». Oggi l'immaginario collettivo è plasmato dai mass media, e la storia è tramandata dalle fiction cinematografiche e televisive, più che dai libri di storia, peraltro inclini a mescolare storie, miti e leggende.
Pierre Nora conclude tuttavia rivendicando il ruolo dello storico, «interprete e intermediario, filtro necessario: ricorda ai militanti della memoria, da un lato, e ai detentori del potere, dall'altro, quello che il passato autorizza e quello che non permette. Saper essere all'altezza di questa missione è un altro discorso».