Imprese ed esercizi commerciali che non riaprono, prestiti bancari e contributi pubblici che non arrivano, prime manifestazioni di piazza e scenari di collasso economico-sociale. Vorrei davvero sbagliarmi, ma ho l'impressione (forte) che non solo la "normalizzazione" dopo la tragedia da Covid-19 sia molto lontana, ma che prima di recuperare una qualche stabilità il nostro Paese – come altri – debba transitare per territori ignoti e inospitali, carichi di insidie e di fenomeni non prevedibili. È una prospettiva nella quale rischiano di saltare gli schemi politici ed economici che siamo abituati ad utilizzare. Un nuovo scollamento tra politica e società italiana, dopo l'esplosione della faglia casta-anticasta innescata dal fortunato libro di Stella e Rizzo nel 2007, rischia seriamente di materializzarsi. Motivo dello scontro sarebbe questa volta l'incapacità della politica di "leggere" la profondità e la diffusione di una crisi economica in grado di togliere – senza alcun preavviso – reddito e speranze a milioni di protagonisti della produzione, tra piccoli imprenditori, commercianti, professionisti e lavoratori dipendenti del mondo privato, e di mettere in grave difficoltà milioni di famiglie italiane. E di conseguenza l'incapacità della politica di abbandonare la furbizia dell'annuncio e del titolo ad effetto, la cattiva prassi delle leggi bizantine e non immediatamente esecutive, l'ideologia del sospetto e il pregiudizio anti-impresa che prevalgono sulla libertà di vivere e di intraprendere. Se oggi la gravità della crisi squarcia il velo dell'ipocrisia della politica, l'effetto è uno solo: allargare a dismisura, fino a renderlo "socialmente pericoloso", il divario tra i bisogni di chi lavora e i tempi della politica. Da una parte una grande quantità di risorse stanziate e una miriade di promesse, dall'altra la cruda realtà di mercato: una miriade di piccole e micro imprese che vanno in frantumi strozzate dalla mancanza di liquidità e da una domanda interna che fatica a ripartire, un tasso di disoccupazione destinato a salire più del previsto, una desertificazione delle opportunità di ingresso nel mercato del lavoro per i più giovani, una dilagante incertezza sul futuro che angoscia molte famiglie. Ovviamente nessun protagonista della politica, dell'economia e della società italiana può permettersi di giocare allo sfascio, al tanto peggio tanto meglio. Ma oggi il mondo della produzione ha un tremendo bisogno di essere ascoltato realmente, per condividere con il Governo la strategia della ripartenza, e di ottenere azioni rapide. Se gli Stati Generali dell'Economia consentiranno questo "cambio di paradigma" saranno straordinariamente preziosi, se invece si ridurranno ad una vetrina di comunicazione allargheranno ulteriormente il fossato che oggi divide politica ed economia. In questo caso, ahinoi, tertium non datur.
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