GLI SPECIALISTI
Ormai, quando abbiamo una malattia seria, ci rivolgiamo tutti allo "specialista". Nei dibattiti televisivi non manca mai l'"esperto" di turno. Persino al Concilio Vaticano II c'erano i "periti". Uno dei vocaboli più comuni è "tecnico", e ce ne sono distribuiti in tutti i settori, per cui non basta più l'elettricista se devi riparare un elettrodomestico, ma ci vuole "il tecnico" apposito. Per ricorrere a un altro termine di moda, la "parcellizzazione" è la regola del conoscere, per cui ognuno ha la sua particella di sapere che amministra spesso in modo esclusivo e supponente. Il risultato di questo "specialismo" è ben detto dalla frase del filosofo Uberto Scarpelli sopra citata: si sa tutto di un frammento e si ignora l'insieme, per cui la malattia è guarita, ma il malato può morire per altri effetti collaterali ed esterni a quella sindrome.
Quest'ultimo è il solito e un po' paradossale esempio che viene addotto. È, però, necessario riconoscere che l'antico medico generico aveva una sensibilità più onnicomprensiva e non ignorava che a guarire aiuta anche il calore umano e non solo la competenza scientifica. Ora si privilegia la via secondo la quale si conosce sempre di più su un argomento sempre più piccolo e si perdono di vista gli orizzonti. Questo atteggiamento si riflette anche nell'educazione e nella vita: non si è più capaci di dare un senso unitario e globale alla realtà e alla stessa esistenza. Certo, dobbiamo rimuovere la superficialità del personaggio di Arthur Conan Doyle del quale si diceva che his specialism is omniscience. Onniscienti non siamo, ma neppure monodirezionali, monocromi e riduttivi.