Possono gli intellettuali essere una guida utile per coloro che non lo sono? In una conferenza del 1930 il problema venne affrontato da Edith Stein (1891-1942), allieva di Husserl, ebrea convertita al cattolicesimo e dal 1934 monaca carmelitana, morta nel lager di Auschwitz, santificata nel 1998 da Papa Wojtyla. Nel suo pensiero la Stein riuscì a far convivere senza forzature la fenomenologia del suo maestro con la teologia morale neoaristotelica di Tommaso d'Aquino. Il testo di questa conferenza è ora riproposto da Castelvecchi col titolo Gli intellettuali, preceduto da un'ampia introduzione di Angela Ales Bello. La Stein non parte dall'idea di società moderna come aggregato strutturale di produzione economica e di potere statale, risale invece al rapporto premoderno fra individuo come "microcosmo" e comunità sociale organica. Un tale anacronismo ha tuttavia dei vantaggi. Il titolo originale del suo discorso è "L'intelletto e gli intellettuali" e indica la priorità di una nozione filosofico-antropologica (nonché teologica e metafisica) di intelletto, rispetto a un'ottica sociologica. Prima di essere gruppo, élite, ceto, ruolo pubblico e sociale, gli intellettuali sono (dovrebbero essere) individui caratterizzati dalla vocazione alla conoscenza nei suoi livelli materiali e pratici e in quelli che «innalzano a verità superiori». Il riferimento a Tommaso d'Aquino diventa perciò chiarificatore. Nelle funzioni conoscitive c'è un livello razionale e un livello intuitivo e contemplativo: «Al massimo delle sue prestazioni – scrive la Stein – ogni movimento di conoscenza mira al quieto guardare la verità». Senza un «balenare della verità», che il lavoro razionale fa diventare «patrimonio duraturo», i processi logici non avrebbero contenuto e fondamento. È a questo punto che interviene il volere, la «libera decisione della volontà a favore o contro», senza la quale il puro conoscere non realizza quell'incontro reale con la cosa conosciuta che provoca un cambiamento sostanziale in chi conosce. «Ciò che caratterizza l'intellettuale è che egli vive nei problemi, si sente a casa in ciò che è teoretico, l'intelletto è il suo autentico campo d'azione». In questo senso «l'applicazione pratica non è suo compito» e «la filosofia non può essere definita una guida». Eppure, senza per questo diventare dei politici, gli intellettuali non devono trattare nessuno «dall'alto in basso», devono diventare umili: «Il prete, il medico, l'insegnante e così via» devono custodire la conoscenza più alta, ma parlando, sentendo e pensando «in mezzo al popolo».