Gli infanticidi di Parma, il mistero del male e tanti interrogativi aperti
non è propriamente indirizzata a lei ma vuole essere un modo per riflettere ad alta voce sul dono della maternità e sulla grande fortuna che ha chi può dare alla luce dei figli. Sono rimasta sconvolta dall’ultimo evento di cronaca nera di cui sono protagonisti i due neonati uccisi e sepolti in giardino ed ho deciso di scrivere una sorta di lettera aperta a Dio. Valentina Verrillo Caro Avvenire, vorrei poter capire come una mamma possa uccidere un proprio figlio. Dico poter capire. Ma se non si fa che gridare: “l’aborto è un diritto delle donne”, come meravigliarci se i nostri giovani compiono simili azioni contro la vita? Figli del nostro tempo?. Certo, di vuoto morale e religioso. Gianfranco Antinori Caro Avvenire, ho fatto il medico di famiglia per 42 anni, per cui la mia visione della cosa sarà cruda ma è concreta. Non riesco a vedere alcuna differenza tra aborto ed infanticidio. Entrambe sono pratiche tese ad eliminare un essere umano. Pasquale Graziano La Spezia Cari lettori, la vicenda di Vignale di Traversetolo, per quanto non ancora chiarita e forse destinata a qualche ulteriore drammatico sviluppo, sta suscitando da settimane dolore, sconcerto e incredulità nel Paese. Tra i moltissimi commenti che si sono potuti ascoltare finora, i vostri toccano corde diverse, tutte venate di sofferenza e di coraggio nello sfidare alcune posizioni comuni e poco meditate. Mi rimane qualche dubbio nel pubblicarle perché, qui come in moltissime altre valutazioni, emerge una condanna implicita e senza appello per Chiara, la ragazza 21enne accusata di avere ucciso o lasciato morire i suoi figli, partoriti dopo due gravidanze ravvicinate e tenute nascoste, quindi sepolti nel giardino di casa. Nella sua lettera, che non c’è purtroppo spazio per riportare, lei, gentile signora Valentina, esprime la straziante interrogazione delle donne che non riescono a generare malgrado il desiderio che hanno nel cuore. E istituisce un immediato e comprensibile paragone con il tragico epilogo cui sono state condannate le due gestazioni di cui si parla nelle cronache. Ma qui entriamo nel buio che ancora avvolge la storia straziante di Traversetolo. Davvero Chiara - sarebbe ipocrita non chiamarla con il suo nome dopo che tutto ciò che è noto di lei è stato raccontato, anche se possiamo interrogarci su questo modo di fare informazione - ha prima voluto coscientemente quei bambini e poi li ha soppressi (da sola)? E se così fosse, quali cupe ombre nella sua mente l’hanno portata a tale orrore, mentre nei nove mesi in cui il suo corpo ospitava un essere umano in formazione, faceva di tutto per dissimulare e, anzi, per mettere a rischio il feto? Davvero nessuno si è accorto di alcunché? A che scopo mettere in atto per ben due volte una condotta che ci pare così assurda e criminale insieme? Sono interrogativi angosciosi che lasciano spazio alle considerazioni sugli orientamenti di valore di una società pluralistica, in cui convivono contraddizioni palesi. Mentre concordo con voi, cari Antinori e Graziano, sulla necessità di difendere sempre ogni vita (e pietà va ribadita per le due piccole e indifese vittime), sarei più cauto nell’attribuire questo caso ai dibattiti culturali e politici di questi anni. In un mondo segnato dal peccato, si registrano infanticidi (e altri terribili delitti) anche laddove una fede religiosa è ampiamente maggioritaria. E comunque impegniamoci perché a parlare dei temi della maternità non siano soprattutto gli uomini, come sta accadendo qui, con tre voci su quattro.
In conclusione, tutti - penso - vorremmo presto sapere i reali contorni di quello che è accaduto e, in particolare, delle motivazioni profonde che l’hanno provocato. Capire da dove viene il male può aiutarci a lenire la costernazione e a compiere azioni concrete per prevenirlo o arginarlo. Consapevoli che a volte non basta una comprensione razionale e c’è un mistero dell’iniquità al quale solo una salvezza più grande e a noi superiore può porre rimedio. © riproduzione riservata