Gli impegni, le illusioni E quello che conta
Ero andato in pensione (anticipata) a metà 2014, pochi giorni prima di compiere 59 anni, e con un programma di cose da fare – professionalmente parlando – che mi avrebbe impegnato fino a metà del 2021. Dopo di che, mi ero detto, farò davvero il pensionato, passeggiate, qualche week-end con mia moglie, qualche cinema, teatro... Tutto quello che una vita lavorativa troppo intensa mi ha sempre negato. Invece da metà maggio 2017 ho dovuto iniziare a cancellare ogni cosa, fino a quando, nel giro di cinque mesi, dei miei programmi non è rimasto praticamente nulla. E così centellinare la correzione di quelle pagine scritte è diventato in qualche modo, e per lungo tempo, il mio trucco per sentirmi impegnato, per dire a me stesso "domani hai ancora qualcosa da fare". Finire la revisione, pensare la copertina, e poi tutti i problemi connessi alla pubblicazione, che sono infiniti... Insomma, la scusa buona per dirmi: "Non puoi ancora mollare, lo vedi quanto ancora devi lavorare?". Ci ho impiegato un po' a capire che era tutto sbagliato. Che noi non siamo quello che facciamo, e che non è quello che facciamo che ci dà ragione di esistere, che può giustificare o motivare il nostro andare avanti. Né tanto meno può aggiungere giorni alla nostra vita.
Oggi neppure so se a metà del 2021 ci sarò ancora, o se il mio percorso sarà terminato. Più probabile la seconda. Comunque magari domani deciderò di iniziare un altro romanzo, oppure no. O forse un'altra cosa. Oppure semplicemente farò il pensionato. In maniera certamente più statica di quanto avevo immaginato, ma circondato da moglie, figlie, sorelle e da chi vorrà starmi vicino. Che poi è quello che alla fine, solamente, conta.
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