Siete mai stati in una casa di riposo a vedere come passano il tempo i nostri vecchietti? Al mattino c'è un bel po' di movimento mentre viene servita la colazione, su piccoli tavoli, a tutti quelli che possono camminare da soli. Forse è il momento migliore perché qualcosa di caldo e dolce li fa sentire meglio, quasi fossero le carezze di cui sentono la nostalgia. Poi il giorno si allunga e diventa difficile da passare anche se c'è un giardino e una grande camera con la televisione dove qualcuno si addormenta o sospira pensando alla vita passata. Ma c'è chi gioca a carte e litiga sui punti perduti, chi sa ancora sorridere, chi vuole raccontare una barzelletta che già tutti conoscono e che ormai si rifiutano di ascoltare. Ci sono piccoli dispetti e qualche maldicenza che aiutano a dare un pizzico di interesse alle ore che non offrono novità assolute. Con la sera scende una mestizia leggera come la nebbia d'estate e pare di sentire i pensieri di tutti che si intrecciano nell'aria confusi e senza voce. Nell'angolo vicino a una finestra c'è una nonna con i capelli raccolti in un nastro di velluto nero. Non lascia il suo posto a nessuno perché vuole vedere il tempo passare: la primavera, l'estate, l'autunno e l'inverno. «Ogni stagione ha la sua bellezza – mi dice – e io immagino di camminare lì fuori con il vento, la luce, il caldo, la pioggia. Quelli che vivono fuori di qui si coprono con l'ombrello e non sanno come sarebbe piacevole sentire l'acqua cadere sul viso e sulle spalle!». Poi mi ripete la sua storia che conosco bene, ma la memoria da tempo non ha registrato altro di nuovo, quasi rifiutasse di vedere il presente. Le sembra di ricordare che la sua vita ha avuto giorni importanti, incontri con gente nota di cui non ricorda il viso, né il nome. Ciò che invece è rimasto vivo nel suo cuore è un nipotino. «Sai, certi giorni mi sbaglio e gli do un nome che non era il suo, ma che importa se ho davanti a me le sue risate, i capricci, le lacrime e i giochi che abbiamo fatto assieme. Io ero ancora abbastanza giovane e giocavo con lui sul tappeto della mia camera con le macchinine, con i soldatini a quelle guerre che lui voleva sempre vincere. Ogni anno che passava i suoi occhi scuri volevano vedere di più. Comprammo una bicicletta e assieme, io con una presa in affitto, andavamo di corsa per i viali di un grande giardino dove i bambini gridavano il loro piacere di vivere. Un giorno gli regalai un cane dal pelo biondo perché avesse sempre compagnia. La mia casa aveva un giardino come questo, vedi? C'erano tanti fiori, un'altalena, poi un pallone. Ma tutto questo non bastava più: aveva dodici anni, stava crescendo. Una mattina venne a prendere il suo cane e chiuse il cancello lasciando dietro di sé la siepe di ortensie, i rossi ibiscus e la nonna che lo amava tanto. Non viene mai a trovarmi, certo non sa che per lui c'è ancora lo stesso posto nel mio cuore». Su questo pensiero, sorridendo, mi disse: ora puoi andare.