Alla vigilia di questo Natale 2020, l'umanità si sente come quell'allenatore a corto di risultati positivi che, da tradizione, viene minacciato: «Non mangerà il panettone!». Noi tutti ci sentiamo un po' quel povero mister che non riesce a invertire la rotta. E come direbbe Ezio Luzzi, appena sentito da Avvenire: «Ho perso il trend». Il suo ex socio radiofonico, il mitico “Bax” Ernesto Bassignano (da ascoltare il suo ultimo cd, omaggio a Umberto Bindi – Bindi, Bassignano&Friends) in un momento come questo ci ricorda con la sua bella voce da Folk Studio: «Di coraggio non si muore». Per vincere nel calcio, come nella vita, ci vuole coraggio e poi delle guide autorevoli. Non sempre vinci anche se in panchina siede uno “Specialone” come José Mourinho, il quale agli scienziati del pallone ricorda che «chi sa solo di calcio non sa niente». Argomentazioni affrontate un anno fa al simposio genovese di Palazzo Ducale e raccolti ora in un volumetto sapiente, ed elegante fin dalla copertina (Pasolini in azione su un campo di calcio al cospetto di un pubblico molto stupito) di Marco Ansaldo: Allenatori. I guru del calcio in dialogo con gli intellettuali(Il Canneto editore. Pagine 152. Euro 12,00). Protagonisti del saggio di Ansaldo tre ct, due azzurri, Marcello Lippi e Roberto Mancini, rispettivamente dialoganti con lo scrittore Lorenzo Licalzi e l'ex ministro dello sport Giovanna Melandri. Il terzo, Alberto Zaccheroni (ha allenato il Giappone) si confronta con l'umoristico narratore Diego De Silva che ringraziamo per le sue ultime due perle Terapia di coppia per amanti (Einaudi 2015) e l'altrettanto esilarante Superficie (Einaudi 2018). Ringraziamenti anche ad Ansaldo per il prezioso contributo a un calcio non pensato solo con i piedi e che conferma il ribaltamento culturale che sta vivendo il mondo del pallone, rispetto a quando Michel Platini sosteneva: «I ragazzi hanno gli album delle figurine dei giocatori, non degli allenatori». Oggi, i vari Mourinho, Guardiola e Simeone messi insieme guadagnano una media di 20 milioni a stagione, molto più della maggior parte dei calciatori che allenano. Cifre che, “filosofi” come Manlio Scopigno (Cagliari dello scudetto 1969-'70) o l'Osvaldo della Bovisa, Bagnoli, che portò la classe operaia del Verona all'ultimo trionfo tricolore di una provinciale (1984-'85) se le sognavano. Ma quello sì sa, era un calcio più povero, quindi più umano e più vero. Ora, tranne rare eccezioni, il calcio, lo sport professionistico, è caratterizzato da una perenne distanza sociale e dal manifesto disimpegno, anche in piena pandemia. Fa bene allora l'ex ct azzurro del volley Mauro Berruto (bronzo olimpico a Londra 2012) a schiacciare dalle nostre colonne, chiedendo: «Perché non lanciare una grande campagna di testimonial sportivi disposti a farsi vaccinare in pubblico o in televisione come fece nel 1956 Elvis Presley con l'antipolio?». E ancora: «Perché non usare gli impianti, i palazzetti, gli stadi per farli diventare degli hub per la vaccinazione e, ancor più, luoghi simbolici della salute?», conclude Berruto. «Per fare certe cose ci vuole orecchio», direbbe il calciofilo cantautore Enzo Jannacci che, da cardiochirurgo, aggiungerebbe, ci vuole anche un po' di cuore.