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Giusta e precisa urgenza (basta con gli zibaldoni)

Stefano De Martis domenica 1 agosto 2021
Nella lettera inviata il 23 luglio ai presidenti delle Camere e al presidente del Consiglio, contestualmente alla promulgazione della legge di conversione del cosiddetto decreto sostegni-bis, Sergio Mattarella ha chiesto a Parlamento e Governo di «riconsiderare le modalità di esercizio della decretazione d'urgenza» per ovviare a quei «profili critici» che «hanno ormai assunto dimensioni e prodotto effetti difficilmente sostenibili».
Decreti-legge che nell'iter di conversione diventano zibaldoni in cui si giustappongono norme eterogenee per materia e finalità oppure che si innestano l'uno nell'altro creando sovrapposizioni e difficoltà interpretative, non corrispondono al dettato costituzionale e provocano «complicazioni per la vita dei cittadini e delle imprese nonché una crescita non ordinata e poco efficiente della spesa pubblica». Questa dinamica preoccupa molto il Capo dello Stato. Ne ha parlato in diverse occasioni durante il suo mandato, ma stavolta ha voluto porre la questione con particolare energia. Se infatti ha promulgato il testo uscito dal Parlamento per evitare il rischio che milioni di famiglie e imprese non ricevessero i sostegni deliberati, ha fatto sapere che per il futuro valuterà l'eventuale ricorso alla facoltà di rinvio alle Camere (art. 74 della Costituzione) qualora gli fossero sottoposte leggi di conversione caratterizzate da «gravi anomalie». Nel "semestre bianco" che inizia il 3 agosto il Presidente della Repubblica non può sciogliere le Camere, ma per tutto il resto il suo ruolo resta intatto fino all'ultimo giorno del mandato.
Peraltro in sei anni e mezzo Mattarella ha fatto ricorso al rinvio soltanto una volta, nel 2017. Si trattava della legge contro le mine antiuomo in cui il Quirinale aveva scovato una norma che contraddiceva lo spirito stesso dell'importante provvedimento e presentava «profili di evidente illegittimità costituzionale». Ma oggi l'esercizio della facoltà di rinvio presenta nella pratica aspetti diversi dal passato perché le leggi varate dal Parlamento sono in gran parte leggi di conversione di decreti-legge. Un eventuale rinvio, quindi, interverrebbe quando il termine di 60 giorni per la conversione si è ormai di fatto consumato, con la conseguente decadenza delle disposizioni, sia quelle originarie che quelle aggiunte nell'iter. Tanto più che nella sentenza n.360 del 1996 la Corte costituzionale ha ritenuto di norma illegittima la reiterazione dei decreti. È per questo motivo che da allora si sono registrati soltanto due esempi di rinvio nei confronti di leggi di conversione (nel 2002 e nel 2006, presidenza Ciampi). Lo ricorda Giorgio Napolitano in una lettera inviata ai vertici di Governo e Parlamento il 22 febbraio 2011. In essa l'allora Capo dello Stato indicava tra i possibili rimedi alla decadenza delle disposizioni quello di «una almeno parziale reiterazione del testo originario del decreto-legge». Nella sua recente missiva, Mattarella ricorda esplicitamente la lettera del suo predecessore e in particolare annota come «il rinvio alle Camere di un disegno di legge di conversione porrebbe in termini del tutto peculiari il tema dell'esercizio del potere di reiterazione». Qui sembra aprirsi lo spazio per uno sviluppo interpretativo che superi l'antinomia tra l'esigenza di dar corso a provvedimenti socialmente decisivi e il dovere di richiamare il rispetto delle norme della Costituzione.