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Giudico dunque sono: la smania del nostro oggi

Goffredo Fofi venerdì 12 aprile 2019
«Tu in paradiso, tu all'inferno, tu in purgatorio!». Facendo una rivista mi capita spesso di sbalordirmi per la smania giudicante di alcuni lettori (e collaboratori) per i testi degli altri. «Questo mi piace e questo non mi piace», «questo passo lo approvo e questo no». Quante “professoresse” (di quelle così amate dagli allievi di don Milani!) e quanti “professoressi”, quanti censori tra di loro, pronti, in mano la matita rossa e blu, a giudicare, approvare, condannare. Questo mi piace e questo no, questo mi convince e questo no, questo lo approvo e questo no: ci si sente intelligenti e vivi solo perché qualcuno è o ci sembra meno intelligente di noi, o più cattivo, più opportunista, più bugiardo di noi! È come se la nostra comprovata impotenza ci rendesse tutti, a compensazione della coscienza di non avere alcun peso sulla Storia e sui destini generali delle società, smaniosi tuttavia di giudicare il prossimo, e ovviamente è più facile per tutti giudicare quello che ci è più vicino, che vediamo o leggiamo più spesso. Giudico dunque sono! Ma quanto conta ciascuno di noi, anche il più bravo di noi, il più importante di noi, nell'affrontare il corso delle cose, quanto riesce a incidere sull'andamento del mondo, della nostra società, della nostra politica? C'è un passo di Tolstoj, non so più in quale raccolta, che mi colpì enormemente quando ero ragazzo, in cui si esorta a «non giudicare» le azioni del prossimo, citando ovviamente Gesù, i Vangeli. E ieri, giovedì 11 aprile, ho letto a pagina 14 di questo giornale quanto ha detto papa Francesco nella sua udienza. C'è chi pensa «ti ringrazio, Signore, perché io non sono come gli altri» dimenticando che «nessuno di noi è perfetto, nessuno». Bisogna saper riconoscere i propri limiti e i propri peccati, come il pubblicano di cui parla il Vangelo di Luca, che sapeva riconoscere i propri limiti e i propri peccati. Forse solo a partire da questa coscienza si può, allora, giudicare, perché purtroppo giudicare è indispensabile, vivendo in società non giudicare è impossibile. Non si tratta soltanto del solito e astuto “vivi e lascia vivere” della volterriana tolleranza. E non si tratta soltanto delle scelte dei politici, più che mai espressione degli interessi del potere, di chi dall'alto delle sue decisioni influenza l'esistenza di milioni e milioni di esseri umani e di tutto il vivente, decide di fatto della vita e della morte degli uomini e della natura. Nonostante le nostre convinzioni ci si sente costretti a giudicare le scelte e le opinioni del nostro prossimo più prossimo, di coloro che ci sembrano attenti soltanto ai propri interessi e bisogni e ci sembrano incapace di vedere al di là del proprio naso, o che si rifiutano di farlo. Ma guai a dimenticare le nostre miserie e le nostre inadempienze, a dimenticare che «nessuno di noi è perfetto, nessuno».