Se andiamo a cercare su Wikipedia la voce “Giornata mondiale della pace”, vedremo che essa è definita come “una ricorrenza, celebrata dalla Chiesa cattolica, che cade il 1º gennaio di ogni anno”, il cui scopo “è dedicare il giorno di Capodanno alla riflessione ed alla preghiera per la pace”. Una ricorrenza, della quale fra tre giorni sarà celebrata la 52ª edizione, fortemente voluta da Paolo VI, e da quel 1º gennaio 1968 “il Pontefice della Chiesa cattolica – scrive ancora Wikipedia – invia ai capi delle nazioni e a tutti gli uomini di buona volontà un messaggio che invita alla riflessione sul tema della pace”. La suddetta definizione, come spesso succede quando si tratta di materia ecclesiale, non dice tutto. O, per meglio dire, perde molto (se non tutto) del senso vero e del valore universale, quindi non confessionale, dell'iniziativa presa da Papa Montini. Il quale, pure, ne aveva spiegato l'intenzione fin da subito: «Ci rivolgiamo a tutti gli uomini di buona volontà – scrisse nel primo messaggio per l'occasione – per esortarli a celebrare “La Giornata della Pace”... Noi pensiamo che la proposta interpreti le aspirazioni dei Popoli, dei loro Governanti, degli Enti internazionali che attendono a conservare la pace nel mondo, delle Istituzioni religiose tanto interessate alla promozione della Pace, dei Movimenti culturali, politici e sociali che della Pace fanno il loro ideale, della Gioventù – in cui più viva è la perspicacia delle vie nuove della civiltà, doverosamente orientate verso un suo pacifico sviluppo – degli uomini saggi che vedono quanto oggi la Pace sia al tempo stesso necessaria e minacciata». Con ancora più chiarezza, forse proprio per evitare che la Giornata fosse confinata nella sfera confessionale, Paolo VI spiegava ulteriormente: «La proposta di dedicare alla Pace il primo giorno dell'anno nuovo non intende perciò qualificarsi come esclusivamente nostra, religiosa cioè cattolica; essa vorrebbe incontrare l'adesione di tutti i veri amici della pace, come fosse iniziativa loro propria».
Era il messaggio di una Chiesa che, con il Concilio Vaticano II, aveva scelto in modo irreversibile di aprirsi al dialogo con il mondo, in un confronto sul terreno dell'antropologia e dell'umanesimo, anche per evitare la riduzione della fede a ideologia. Una tensione costante, della quale proprio i cinquantadue messaggi per le giornate della pace, rappresentano in qualche modo la cartina di tornasole. Basta, per capirlo, andare a leggere solo i temi scelti da Paolo VI, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e, oggi, Francesco: temi che suonano come autentiche provocazioni alle conoscenze di tutti gli uomini sulle questioni decisive per la convivenza umana. L'educazione dei giovani, l'ambiente, la giustizia, la questione femminile, il rispetto delle minoranze...
Così è anche oggi, come appena detto. E quando Papa Bergoglio ci ricorda che La buona politica è al servizio della pace, si rivolge appunto a ogni politico: perché «“l'azione dell'uomo sulla terra – dice citando Benedetto – quando è ispirata e sostenuta dalla carità, contribuisce all'edificazione di quella universale città di Dio verso cui avanza la storia della famiglia umana”. È un programma nel quale si possono ritrovare tutti i politici, di qualunque appartenenza culturale o religiosa che, insieme, desiderano operare per il bene della famiglia umana, praticando quelle virtù umane che soggiacciono al buon agire politico: la giustizia, l'equità, il rispetto reciproco, la sincerità, l'onestà, la fedeltà». Tutti, nessuno escluso.