«Sono un giornalista. Vorrei fosse chiaro. Forse qualcuno non l'ha capito». Massimo Giletti lo rivendica appena le luci si accendono su di lui nel grande studio di via Tiburtina a Roma che ospita Non è l'Arena, il suo one man show su La 7 dopo l'abbandono della Rai. Parole pronunciate con enfasi, sguardo dritto in camera, ma senza rancore per la vecchia azienda, che continua «ad amare» e dalla quale, entrato «ragazzo», è uscito «uomo e giornalista». Un monologo non breve a inizio di una serata che si rivelerà particolarmente lunga e con tre soli temi all'ordine del giorno: quattro ore di diretta da suddividere tra il caso Tulliani, pensioni e vitalizi, molestie sessuali nel mondo dello spettacolo. Non prima dell'immancabile video augurale di Fiorello, che ormai sembra non negarlo a nessuno. Dopo di che Giletti protagonista assoluto e anche quando non lo sarebbe fa di tutto per esserlo. È il caso del primo servizio (“Il cognato di Fini arrestato a Dubai”), frutto dello scoop fatto «prima ancora di andare in onda», che ha portato al fermo di Giancarlo Tulliani, fratello della compagna di Gianfranco Fini. Scoop e servizio sono dell'inviato Daniele Bonistalli, ma Giletti in vario modo rivendica a sé molti meriti. Si destreggia poi tra i vari ospiti (non tutti di primissimo piano) con un fare da regista in campo dando voce ogni tanto anche a Klaus Davi, che lo affianca da bordo campo, ovvero dalla prima fila degli oltre duecento spettatori in studio. Non manca un pizzico di populismo quando il conduttore mette a confronto il fornaio di Vaccolino in provincia di Ferrara con i politici beneficiati dai vitalizi al cui inseguimento è stato sguinzagliato l'altro inviato, Danilo Lupo, con uno stile a metà strada tra Le iene e Striscia la notizia. E siccome tutti i talk show devono avere anche un siparietto comico, ecco il servizio di Rosanna Sferrazza sui pensionati di cui, però, sfugge la satira. In ogni caso è già mezzanotte e mezzo quando Giletti fa l'ultima sviolinata al patron di La 7 e non solo, Urbano Cairo: «Presidente, le dico grazie: ha avuto fiducia in me. Trovare un editore libero in questo Paese è un segno di grande civiltà e di democrazia». Insomma, il marchio di fabbrica Giletti c'è tutto: grandi capacità di conduzione, forti dosi di egocentrismo e scarsa simpatia.