Era il 4 novembre 1964, 60 anni fa. In Italia-Finlandia (6-1), Giacinto Facchetti segnava il suo primo gol in Nazionale. Sono diventato suo amico quando aveva già smesso di giocare, ma era ancora una bandiera. Diceva che «ci sono giorni in cui essere interista è facile, altri in cui è doveroso, e giorni in cui esserlo è un onore». Con quella maglia, sempre la stessa e l’unica, ha giocato per 18 anni, vincendo 4 scudetti, 2 Coppe dei Campioni. Segnando 75 gol, tanti per uno che per ruolo doveva solo non farli fare agli altri. Facchetti se ne è andato nel 2006, a 77 anni quando a guardarlo ne aveva la metà. Un signore, un calciatore. Era il “Cipe”, perché Helenio Herrera un giorno lo chiamò Cipelletti, storpiandone il nome. Leggenda, forse. Lui leggenda lo è stato, per davvero. Il terzino laterale più in mezzo all’eleganza. “Fluidificante” era l’aggettivo per il suo posto in campo. Ora non si usa più ma era una parola bella, liquida. «Quando andavo all’oratorio - mi raccontò un giorno - non bastava essere bravi per entrare in squadra, occorreva anche comportarsi bene. Lo trovo giusto, perché poi diventa un’abitudine…». Giacinto, un bel nome vegetale. Era figlio della bassa bergamasca, senza accento e senza montagna, diritto di schiena, timido come una betulla, lento solo ad alzare la voce. Il giorno del suo funerale in Sant’Ambrogio c’era tutta Milano. Io andai via prima della fine. Forse perché non volevo che finisse.
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