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Geopolitica dello sport con lezione finlandese

Mauro Berruto mercoledì 23 febbraio 2022
Può un evento sportivo trasformarsi in un fatto di rilevanza geopolitica? La domanda, naturalmente, è retorica. Lo sport è, senza dubbio, geopolitica. Lo è da tempo e lo è sempre più. I grandi eventi sportivi come la Formula 1, i Giochi Olimpici o i Mondiali di calcio trovano le loro sedi sempre più in virtù di una serie di fattori che poco hanno a che fare con gli aspetti agonistici e sempre di più con necessità di posizionamento o di vero rebranding di alcune potenze mondiali. Perfino quando non è la sede stessa a definire il tema, si scoprono facilmente dei collegamenti.
L'ultima Coppa d'Africa di calcio, disputata in Camerun, per esempio ha visto la Cina essere protagonista della costruzione dei quattro stadi dove si sono disputate tutte le partite e, diciamo così, non per generosità. Se pensiamo ai prossimi Mondiali in Qatar è evidente come quell'evento servirà a costruire un'immagine e una reputazione globali, tendando di ripulire il piccolo Stato del Golfo dalle clamorose preoccupazioni internazionali, per esempio, per lo sfruttamento dei lavoratori utilizzati per portare lì il Gotha del calcio mondiale. L'archetipo di un evento sportivo trasformatosi in geopolitica lo si può leggere nel reportage di un maestro del giornalismo, Ryszard Kapuscinski. Il suo libro "La prima guerra del football" è il racconto di come il brevissimo conflitto armato fra El Salvador e Honduras nel 1969 prese le mosse dai match calcistici di quelle due squadre nazionali, validi per le qualificazioni ai Mondiali del Messico 1970. Tanti sarebbero gli episodi di guerre o conflitti partiti (o viceversa anestetizzati) da momenti di sport. Voglio scrivere di un evento che per noi italiani pare piccolo, ma che in realtà piccolo non è affatto.
Domenica, a Pechino, nell'ultimo giorno dei Giochi Olimpici invernali, la Finlandia battendo 2-1 la Russia ha vinto la sua prima e storica medaglia d'oro olimpica in uno sport di squadra: l'hockey su ghiaccio. C'è un modo di dire finlandese, anzi una vera e propria filosofia, che esprime il sentimento che serve per realizzare imprese del genere: "Sisu". È un concetto intraducibile, che in qualche modo spiega la Finlandia: un mix di resilienza, forza di volontà, determinazione, perseveranza, capacità di farcela anche contro pronostico e quando tutti si sarebbero arresi. Una parola necessaria per capire la cultura finlandese che diventò famosa durante la guerra d'inverno del 1939-1940, quando la piccola Finlandia resistette stoicamente all'invasione sovietica, una nazione 66 volte più grande, tra il Lago Ladoga e il Mare glaciale artico. Si tornò a parlare di Sisu, guarda un po', proprio durante i Giochi Olimpici di Helsinki 1952, in piena Guerra Fredda. Domenica, nel mezzo di un'oscillazione snervante fra il conflitto armato e la diplomazia sulla vicenda russo-ucraina, gli hockeisti finlandesi hanno rinnovato il senso di quella parola. Proprio mentre una delle soluzioni prospettate per evitare il conflitto è quella della "finlandizzazione" (la Finlandia è un Paese che non appartiene alla Nato e, tantomeno, al blocco orientale, ma è parte della Ue) siamo certi che la cosa non sia sfuggita a Vladimir Putin che, è cosa nota, è un grande appassionato di sport.