Adar retta agli esteti della pedata la panchina d'oro avrebbe dovuto vincerla il filosofo Sarri, il Guardiola de noantri, non Allegri, spesso tatticamente più semplice di Semplici ; ma a votare non erano chiamati gli opinionisti - categoria dominante formata da giornalisti, ex calciatori, ex allenatori e passanti - ma i tecnici; e questi - esclusi il mitico Zeman e il sopravvalutato Giampaolo - son tutti professionalmente devoti a Santa Vittoria, dunque portati a insegnare un gioco che può anche esser bello ma soprattutto redditizio. Tutti, escluso Arrigo Sacchi che merita sí un bel posto nella storia del calcio ma meritava di esser più presente negli albi d'oro: poteva vincere di più accettando compromessi tattici, ha invece accettato un compromesso linguistico inventandosi vicecampione. Di questo e di quello si torna fatalmente a parlare mentre va in onda la Champions con due squadre italiane, tre allenatori nostrani (Allegri, Di Francesco e Montella) e due allevati nel nostro campionato (Guardiola e Zidane) tanto per allontanare dannosi complessi d'inferiorità. Max Allegri è entrato di prepotenza nel Gotha degli allenatori senza predicare stili rivoluzionari, senza pretendere ruoli magistrali, addirittura con una naturalezza che ha messo in luce più l'uomo dello stratega, consentendogli di ostentare una storia d'amore mentre i colleghi più impegnati - dico Di Francesco, Spalletti, Gattuso - possono concedersi al massimo pene di formazione. Per non dire di Sarri: il profeta napoletano ha volentieri «perduto» Champions, Coppa Italia e Europa League per dedicarsi solo allo scudetto finendo per giocarsi quasi tutto. E dico «quasi» per rispetto di un Napoli bello e impossibile al quale ho spesso raccomandato meno forma e più sostanza. Inutilmente, ché Sarri conosce socraticamente solo se stesso mentre il calcio pretende una diversa profondità di pensiero che si chiama esperienza. Non s'offenda: Allegri, in vena d'altruismo, già qualche mese fa gli aveva dato un importante assist psicologico dicendo «al Napoli è rimasto solo il campionato e sicuramente sono un po' ossessionati da questa cosa». Magnifica quanto deleteria ossessione. Sarri non gradì ma credo che l'abbia ferito più un'altra affermazione del rivale: «Noi si deve stare concentrati su tutto perché sennò al giovedì i miei giocatori si annoiano». L'ha presa come una botta di strafottente ironia, era una semplice verità: dico da sempre che non esiste altro mestiere tanto «giocoso» come quello del calciatore; i Maestri lo insegnano, i ragazzi rendono al massimo quando partecipano a grandi imprese, e riescono talvolta anche a vincere. Giocare su più fronti è il loro lavoro. E non stanca. Diverte.