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Gardiner e Brahms, le radici antiche di un «Requiem» modernissimo

Andrea Milanesi domenica 10 giugno 2012
Con l'incisione di Ein deutsches Requiem si chiude il ciclo discografico che John Eliot Gardiner ha dedicato ai grandi capolavori "su larga scala" di Johannes Brahms (le quattro Sinfonie e, appunto, il Requiem tedesco); particolarità non di poco conto, al fianco delle partiture del compositore tedesco il direttore inglese ha sempre affiancato, su disco come nelle esecuzioni dal vivo, alcune pagine vocali di illustri maestri del passato che a suo avviso mettono in luce in modo emblematico i debiti brahmsiani in termini di ispirazione artistica (cd pubblicato da Soli Deo Gloria e distribuito da Jupiter).In questo caso il compito di introdurre il Requiem è stato significativamente affidato a due brani di Heinrich Schütz, Wie lieblich sind deine Wohnungen (tratto dai Salmi Davidici dati alle stampe nel 1619) e Selig sind die Toten (presente nella raccolta Musica corale spirituale del 1648), che contengono gli adattamenti di alcuni dei testi utilizzati da Brahms per incorniciare il suo maestoso affresco funebre. È stato infatti lo stesso compositore a rinunciare all'ufficiale apparato di testi della liturgia dei defunti e a scegliere alcuni passi delle Sacre Scritture – nella traduzione "riformata" in lingua tedesca approntata nel XVI secolo da Lutero – personalizzando in modo decisivo l'orientamento spirituale di un lavoro che secondo lui doveva rappresentare i toni dell'estremo commiato dalla vita terrena.Alla guida del soprano Katharine Fuge, del baritono Matthew Brook e delle fedeli compagini del Monteverdi Choir e dell'Orchestre Révolutionnaire et Romantique, Gardiner ha così inteso svelare attraverso la filigrana delle antiche polifonie della tradizione polifonica di area germanica l'attualità di un linguaggio attraverso cui si traduce tutta l'urgenza espressiva di Brahms, che con grandeur sinfonico-corale tutta ottocentesca dipinge con tinte plumbee e brumose i paesaggi dell'animo dell'uomo del XIX secolo, tra smarrimento, inquietudine e ansia di pacificazione; affidando al pentagramma una profonda riflessione sulle tematiche che rimandano al significato ultimo dell'esistenza e – secondo le parole del critico Alfred Einstein – conferendo veste musicale a «uno dei più grandi e personali colloqui con la Morte».