Nelle sue Considerazioni attuali sulla guerra e la morte che Sigmund Freud scrisse nel 1915, a poco meno di un anno dall'inizio della guerra mondiale, l'inventore della psicanalisi fu preso da un pessimismo scientifico nuovo. Cominciò a concepire l'inestirpabile tendenza a riprodursi degli «impulsi primitivi selvaggi e malvagi dell'umanità». La nuova scienza dell'interiorità, che ebbe tanto successo nel Novecento, arrivò allora ad accostare le "pulsioni di morte" al "principio del piacere", le tendenze distruttive di Thanatos a quelle vitali di Eros. Questa amara scoperta continuerà a impegnare Freud nella sua riflessione: «La guerra a cui non volevamo credere è scoppiata (...) Essa infrange tutte le barriere riconosciute in tempo di pace e che costituivano quello che si denominava il diritto dei popoli (...) Abbatte quanto trova sulla sua strada con una rabbia cieca e come se dopo di essa non dovesse più esserci avvenire e pace fra gli uomini. Spezza tutti i legami di comunità e minaccia di lasciare dietro di sé un tale rancore da rendere impossibile per molti anni una loro ricostituzione (...) Una delle maggiori nazioni civili è diventata tanto odiosa agli altri popoli che si tenta di escluderla come barbara dalla comunità civile». Eppure, in un breve ma famoso scritto del 1915, Sulla caducità, Freud concluderà con questa frase: «Torneremo a ricostruire tutto ciò che la guerra ha distrutto, forse su un fondamento più solido e duraturo». Del 1932 è un carteggio tra Freud e Einstein sul tema Perché la guerra? Il grande teorico del mondo fisico chiede a Freud: «C'è un modo per liberare gli uomini dalla fatalità della guerra? È ormai risaputo che, col progredire della scienza moderna, rispondere a questa domanda è divenuta una questione di vita o di morte per la civiltà da noi conosciuta». Nella risposta Freud dice di essersi spaventato per la propria e generale «incompetenza» in proposito. Cita la sua "dottrina mitologica" delle pulsioni contrapposte e a volte sovrapposte di amore e distruttività, e ricorda che anche la religione parla di amore: «Ama il prossimo tuo come te stesso». È utopistico, dice, credere che il rimedio sia una «dittatura della ragione» su istinti e pulsioni. Più reale e utile sarà piuttosto un «rifiuto psichico» imposto dal progresso civile: «Tutto ciò che promuove l'evoluzione della civiltà lavora contro la guerra».