Rubriche

Francesco Caracciolo, obbediente a modo suo

Gianni Gennari sabato 24 dicembre 2022
Francesco Caracciolo, prete e santo: nasce presso Chieti il 13 ottobre 1563 da famiglia principesca, e lo chiamano Ascanio. Infanzia e giovinezza normali: forte senso religioso nella partecipazione alla liturgia, ma anche nel servizio verso i bisognosi. A 22 anni è colpito dalla lebbra, ma guarisce come per miracolo e vincendo resistenze famigliari decide di farsi prete. Eccolo a Napoli: studia teologia, prega, e per darsi da fare si accosta ai cosiddetti Frati Bianchi della Giustizia, quelli che per missione assistono i condannati a morte, allora tanti dovunque. L’avventura decisiva inizia con un equivoco: provvidenziale. Con lui nella Compagnia dei Frati c’è un altro Ascanio, cui Fabrizio, abate di Santa Maria Maggiore a Napoli e per caso Caracciolo anche lui, ma dei principi di Marsicotevere, scrive invitandolo a fondare un nuovo Ordine, i Chierici Regolari Minori. Per un disguido la lettera arriva al nostro Ascanio, studente di teologia e appassionato di san Tommaso d’Aquino: letto e fatto con entusiasmo. L’altro Ascanio andrà per conto suo, ma così il nostro Ascanio arriva lui all’Eremo di Camaldoli, sempre Napoli. Questa è ormai la sua casata, vera. Accetta come tutti i tre soliti voti: povertà, castità e obbedienza, ma per sé ne vuole un altro, il rifiuto di ogni carica ecclesiastica. Nei secoli ci hanno provato anche altri…In realtà molto pochi, e talora senza successo. Nel caso però nessuna concorrenza, e forse anche per questo arriva prestissimo (1/7/1588) il placet con l’approvazione di Sisto V, il “Papa tosto”. L’anno dopo, a 25 anni, è prete e frate col nome nuovo e programmatico per lui di Francesco…Lo mandano in Spagna per nuove fondazioni, che però incontrano gravi difficoltà, e allora nel 1590 torna a Napoli, spesso ammalato, ma instancabile: lì nel 1591 diventa rettore di Santa Maria Maggiore e nel 1593 è eletto superiore generale. Nuovo viaggio in Spagna, fonda la prima casa e poi torna a Napoli, confermato nella carica di superiore, che accetta controvoglia. Nel 1598 il Papa gli affiderebbe a Roma la chiesa di Sant’Agnese, a piazza Navona, e la promozione a vescovo. Rifiuta ambedue le offerte e riesce finalmente a non farsi rieleggere. È contento. Vorrebbe fermarsi a Napoli per formare i giovani novizi, ma il Papa lo manda in forzata obbedienza di nuovo in Spagna: Valladolid, Alcalà e ancora Madrid. Va bene, per stavolta: pare abbia sistemato tutto, da quelle parti e tutti ne sono contenti. Un successo. Non per lui però, che nel 1594 riesce a tornare, che vive tra Napoli e Roma, e finalmente nel 1607 può rinunciare ad ogni incarico. Prega e assiste poveri e malati, è pellegrino a Loreto, viaggia spesso, ma si ammala di brutto, stavolta, e ad Arnone, presso Isernia, il 4 giugno 1608 muore dicendo: “Andiamo, andiamo al Cielo!” Seppellirlo, ma dove? Naturalmente, a Napoli, nella sua Santa Maria Maggiore, ed ai funerali subito un miracolo: un “rattrappito” – narrano le cronache – cioè paralitico, guarisce di colpo e corre felice tra la gente in chiesa. Grande devozione, e napoletana come sempre, entusiasta e rumorosa, soprattutto tra i poveri e tra gli sfortunati, quasi in concorrenza con San Gennaro. Clemente XIV lo proclama beato nel 1770, e la celebrazione avviene in simultanea, a Napoli e a Madrid, dove c’è il re Carlo III. Nel 1807, 24 maggio, Pio VII lo fa santo, e nel 1840 Gregorio XVI lo proclama compatrono di Napoli: anche un suo busto d’argento è là, nel Tesoro, accanto a quello del collega San Gennaro. I confratelli, chierici regolari minori, nei secoli sono detti Caracciolini, e lui spopola in statue e dipinti, perfino dentro San Pietro. Ultima nota: ha sfamato tanta gente, in vita, e su richiesta della Federazione Italiana Cuochi la Chiesa lo ha proclamato protettore dei cuochi italiani: profumo di “pentole” anche in Paradiso, e il “coperchio” è quello giusto. © riproduzione riservata