Sin da ragazzo sono andato a Reggio Emilia pensando a Silvio D’Arzo, che si chiamava Ezio Comparoni, lo scrittore, morto nel 1952 a soli trentadue anni dopo aver composto almeno due capolavori, Casa d’altri (“una tragedia teologica” la definì Giorgio Manganelli) e Penny Wirton e sua madre (“il più bel racconto per ragazzi italiano dopo Pinocchio, nel giudizio del compianto Giuseppe Pontremoli), sul quale decisi di laurearmi e grazie a cui conobbi mia moglie, Anna Luce Lenzi, autrice di una monografia critica che fu la base del mio interesse per lui. Nel palazzo di via Aschieri, dove egli abitò insieme alla madre, Rosalinda, oggi sepolta accanto al figlio nel Cimitero Monumentale, non entrava nessuno, ma un volta Giacinto Spagnoletti mi raccontò di essere stato ricevuto dal giovane talento, il quale non venne mai riconosciuto dal padre, nel povero stanzone, fra libri e pentole, ritrovando nel suo sguardo acceso il fuoco antico e sempre nuovo della letteratura. Lo stabile, oggi impreziosito da una targa commemorativa, non è distante da piazza Prampolini dove un paio di anni fa tenni un discorso pubblico rievocando il mio profondo rapporto con la città darziana: la biblioteca di Via Farini, l’antica libreria Prandi… Quel giorno il sindaco, Luca Vecchi, mi regalò il Tricolore.
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