Fra Kafka e Chiusano le consolazioni di Sabino Caronia
Come quel viaggio in Palestina che Kafka non fece mai, addirittura con l'idea di aprire un ristorante a Tel Aviv, proprio lui, così inetto alla ristorazione. Rimandare, procrastinare. Anche nei rapporti con le donne, mai conclusi eppur sognati perché l'assillo era comunque la "costruzione", anche di una famiglia, impresa impossibile per uno come lui, «condannato a essere figlio». E la sua terrificante Lettera al padre (1919), mai spedita e pubblicata postuma nel 1952, sanguina ancora.
Ben strano libro questo La consolazione della sera di Sabino Caronia (Schena editore, Fasano 2017, pagine 124, euro 14) che è romanzo, diario, saggio in cui l'autore si sovrappone e identifica col proprio oggetto, intrecciando il distacco critico con l'immedesimazione più naturale. E non c'è solo Kafka, c'è anche Italo Alighiero Chiusano, che Caronia considera suo «padre spirituale» da quando, nel 1990, gli aveva scritto l'introduzione al volume di saggi, L'usignolo di Orfeo. Si erano conosciuto quattro anni prima, alla presentazione in libreria di Il vizio del gambero, di Chiusano, «un romanzo a episodi in cui il protagonista non aveva pace fino a che, retrocedendo, non si trasformava in un gambero preistorico e si ritirava definitivamente nel buio della sua tana». «La nostra conoscenza», spiega Caronia, era cominciata così, sotto il segno di quel detestabile "vizio del gambero" che consiste nel voler regredire verso il preumano, il puramente viscerale e vegetativo». Non è kafkiano tutto ciò? Ed è stata colta la decisività dell'aggettivo "detestabile"?
Dunque Kafka, Chiusano, e anche la cometa di Halley, visibile in quel 1986 e che tornerà a mostrarsi nel 2062, e intanto attraversa le pagine del libro di Caronia.
Una volta, Kafka «giungendo a casa di Max Brod nel primo pomeriggio, aveva involontariamente svegliato il padre, assopito su una poltrona, e allora, alzando le braccia al cielo quasi per discolparsi e camminando in punta dei piedi, aveva continuato a ripetere con immensa dolcezza: "Scusi, mi consideri un sogno"». Bellissimo episodio. E il libro di Caronia è forse un sogno di Kafka, che non poteva immaginare che nel 2017 uno scrittore l'avrebbe sognato a occhi aperti. Accomunati, i due, dalla "consolazione della sera", cioè dalla scrittura che per Kafka riscattava la giornata e per Caronia è esercizio identitario: «Certo non si diventa felici soltanto con la scrittura», egli kafkianamente scrive, «ma ci vuole anche un po' di felicità per essere felici, e tuttavia, a dispetto del fallimento di ogni tentativo di fuga, essa mantiene comunque viva in noi la meraviglia della vita».
Se Chiusano era il «padre spirituale» di Caronia, Kafka era il suo "alter ego", perfino nella coincidenza di un ricovero ospedaliero: «Io quarantenne al "Forlanini" come lui quarantenne al sanatorio di Kierling. Solo che lui vi era morto mentre io ne ero uscito vivo». E non solo vivo, ma con un rafforzato legame con la moglie Diana: «Le lunghe ore passate con Diana a parlare, a passeggiare per i viali del "Forlanini" nei caldi pomeriggi di luglio in attesa di una risposta che avrebbe determinato la nostra vita futura, avevano risvegliato tenerezze dimenticate, un sentimento forte ormai rimosso da tempo; erano state una sorta di seconda luna di miele, forse più bella, più piena e consapevole della prima. La disposizione malinconica ad accettare con rassegnazione qualsiasi verdetto si era unita in me con l'attaccamento alla vita e agli affetti, esaltandolo, e aveva fatto ritrovare a Diana un uomo da non perdere».