Finalmente un romanzo: sulle orme di Chiara Matraini
Stiamo parlando di Per seguire la mia stella, di Laura Bosio e Bruno Nacci (Guanda, euro 18,00) che toglie dall'oblio la poetessa Chiara Matraini (1515-1604), affascinante personaggio in anticipo e in contrasto con la sua epoca. Siamo a Lucca, quando i ricchi tessitori e mercanti di stoffe preziose stanno diventando banchieri (la finanziarizzazione dell'economia non è di oggi), e il vento luterano si infila nelle fessure di una Chiesa bisognosa di riforma. La religione sta riducendosi a sontuosa ritualità di forte impatto civile, mentre la fede si rifugia in qualche anima eletta o in qualche cenacolo socialmente irrilevante. La famiglia di Chiara perse definitivamente sostanze e prestigio nel 1531 quando sostenne la «rivolta degli straccioni», il tentativo popolare di spezzare l'oligarchia dei nobili facendo accedere alle cariche pubbliche anche mercanti e borghesi. La ribellione fu duramente repressa: Lodovico, fratello maggiore di Chiara, fu decapitato, l'altro fratello, l'amatissimo Luiso, morì in carcere quattro anni dopo, condannato anche per sodomia.
Chiara sposò controvoglia il ricco Vincenzo Cantarini, ebbe il figlio Federigo, e nel 1542 era già vedova. Aveva cominciato a comporre versi e a tradurre dal latino, frequentando circoli artistici e gaudenti. Nel 1547 fece scalpore la sua appassionata relazione con Bartolomeo Graziani, suo allegro vicino di casa, marito scontento di Elisabetta Sergiusti, al punto che i due amanti dovettero ritirarsi in campagna per smorzare lo scandalo. Furono, nondimeno, anni felici che alimentarono la vena lirica della poetessa, le cui rime furono stampate nel 1555, dopo che Bartolomeo era stato ucciso in un agguato in circostanze mai chiarite (nelle ultime pagine del romanzo viene dato un indizio). Chiara si stabilì definitivamente nell'odiosamata Lucca e la sua fama di letterata e musicista si diffuse, annoverandola fra le poetesse dell'epoca, come l'ammiratissima Vittoria Colonna e le nobili Isabella di Morra, Laura Terracina, Laura Battiferri, e anche le cortigiane di rango come Gaspara Stampa e Veronica Franco. Dopo il 1560 soggiornò un paio d'anni a Genova per una controversia legale col figlio Federigo (che la famiglia Cantarini le aveva in pratica sottratto), assistita anche affettivamente dall'avvocato Cesare Coccapani. Col tempo, l'erudita poetessa non insensibile ai fermenti riformisti, si accostò a una più convinta ortodossia. Nel 1576, nella chiesa di Santa Maria Forisportam, si fece costruire un monumento sepolcrale sormontato da un quadro in cui compariva in veste di Sibilla cumana, e morì quasi novantenne nel 1604.
Il romanzo accompagna le peripezie di Chiara nell'intrico culturale del suo tempo, in quella Lucca le cui solide mura non proteggevano tanto da eventuali nemici esterni, quanto servivano a non lasciar trapelare le imboscate, gli inganni, le maldicenze, le vendette che avvenivano al suo interno. Negli ultimi capitoli questa donna indipendente, anticonformista, che aveva sfidato la pubblica opinione compie un severo e toccante esame di coscienza: che cosa aveva dato allo scostante Vincenzo, che pur era suo marito? E la ribellione di Federigo, non era forse un'estrema richiesta dell'amore materno che non aveva mai avuto? E se Chiara, in fondo, fosse vissuta solo per sé stessa, per la sua gloria, per il suo piacere?
Sono i pensieri suggeriti dalla meditazione delle opere di Enrico Suso, il discepolo di Meister Eckhart, dalla cui suggestiva mistica del nulla Chiara assapora l'infinita vanità del tutto. Un romanzo ammaliante, un poliedro di cristallo che riverbera i colori dello spettro in mille sfaccettature.