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Figli, Superbonus e BTp: tre facce di una medaglia

Marco Ferrando domenica 12 maggio 2024
Nell’ultima settimana in ambiti diversi si è molto parlato, anche su Avvenire, di figli, al centro degli Stati generali della natalità, di finanza pubblica affaticata (con il tormentone Superbonus) e della nuova opportunità di investimento offerta dal Tesoro con l’emissione del nuovo BTp Valore destinato ai piccoli risparmiatori, che si è chiusa venerdì con un “incasso” di 11,2 miliardi. Le tre questioni sono molto più legate di quanto possa sembrare, e – come nell’enigmistica - unendo i puntini ecco emergere un’immagine, che in questo caso è una fotografia dello stato di salute del nostro Paese (almeno dal punto di vista dei fondamentali economici). Vale la pena di farlo, perché la rappresentazione è in chiave dinamica: ci aiuta a capire dove siamo e dove stiamo andando. Partiamo dai figli, alla base dell’Italia di domani. La due giorni organizzata a Roma, che purtroppo sarà ricordata più per le polemiche che per i contenuti, è stata l’occasione per rispolverare un dato eclatante: il 2023 si è chiuso con 379mila nati, 200mila in meno del 2008, a confermare un trend demografico di cui qui a ZeroVirgola si era parlato a febbraio e che ci vede proiettati verso i 50 milioni di abitanti. Un Paese con meno figli è un Paese più triste, ma anche più povero, visto che ha tante pensioni da pagare e pochi lavoratori che creano ricchezza (e ci pagano le tasse, se sono onesti). Allo Stato tocca far quadrare i conti, e con queste premesse non è facile: non è un’emergenza improvvisa, almeno finché i mercati finanziarsi non decidono di spaventarsi (com’è accaduto ad esempio nel 2011), ma un processo di lento e inesorabile deterioramento. Accelerato dal Superbonus, che nella sua meccanica di base – lo Stato regala dei soldi a chi ne spende – è destinato per natura a lasciare un segno indelebile sul Fisco: nasce qui un rapporto tra deficit (saldo entrate e uscite) e Pil che nel 2023 si è attestato al 7,4%, superiore di oltre due punti rispetto alle previsioni dell’autunno scorso. È l’effetto proprio delle mancate entrate fiscali legate al Superbonus, destinate peraltro ancora a crescere e quindi preferibilmente da spalmare su dieci anni, come richiesto dal ministro Giancarlo Giorgetti. Ma alle casse del Tesoro in carenza d’ossigeno – nonostante le boccate del Pnrr – serve anche dell’altro, e così si spiegano le periodiche emissioni di BTp destinate ai risparmiatori: nel 2024 sono già state due, in totale hanno portato nelle casse dello Stato 29,5 miliardi (l’anno scorso erano stati 43,9), che sul breve aiutano ma sul lungo più o meno, visto che sono debiti generosamente remunerati e dunque più costosi della media per chi se li accolla. Uniti i punti, ecco la figura: un’Italia sempre più vecchia, con i conti sempre più a rischio che “compra tempo” ma a prezzi sempre più salati. Niente di nuovo, per carità. Ma proiettata sul futuro la figura impressiona un po’ di più che in chiave statica. E se vogliamo farci ancora un po’ male, basta guardare le figure degli altri; in settimana ci ha colpito uno studio di Kevin Thozet, economista della casa di investimenti francese Carmignac, dal titolo efficace: “Non tutti i deficit sono uguali”. Mettendo a confronto la contabilità pubblica di Stati Uniti, Francia e India, accomunati da un rapporto debito/Pil intorno al 100%, faceva notare che l’India, dove la previsione di crescita del Pil nominale a cinque anni è del 10%, c’è uno spazio di manovra in termini fiscali – meno tasse, più spese per lo Stato – decisamente superiore agli altri due Paesi considerati, destinati a crescere non più del 4%. Meno male che non c’è il confronto con l’Italia, dove le aspettative sul Pil non sono migliori e in più si parte da un debito/Pil al 137%. © riproduzione riservata