Fermate gli ultrà No alla “gogna pubblica” dei calciatori
domani sera c’è l’Inter di Simone Inzaghi che si gioca il primo matchball scudetto. E all’appuntamento il Milan ci arriva più che con l’onta della sconfitta con la Roma con quell’umiliazione che fece scattare l’indagine della Procura in merito alla “gogna pubblica”
dinanzi alla Curva forcaiola. Memorabili le immagini di Marassi nel 2012, quando il Genoa sotto per 4-0 con il Siena scatenò la furia degli ultrà. I capi della Fossa chiesero ai calciatori del Grifone di togliersi la maglia in quanto ritenuti indegni di indossare la casacca del club più antico d’Italia. Quei poveri cristi a capo chino lo fecero, ma uno di loro, Beppe Sculli, chiamato come teste al processo che seguì contro i quattro ultrà accusati di lesioni, li difese pure dicendo: «Non fu costrizione ma una scelta». Come no, libera scelta in libero stadio. Marassi resta presidiato da alcuni di quegli stessi soggetti, un po’ più della solita sporca dozzina (15) che i pm del capoluogo ligure ora accusano per estorsione nei confronti del Genoa: pretesero 327mila euro per evitare aggressioni nei confronti dei calciatori rossoblù. Stiamo parlando di gruppi di pressione che vanno ascritti alla categoria “criminalità organizzata”. La stessa criminalità, neppure tanto organizzata, che il 4 giugno 1989 prima di un Milan-Roma prese a pugni e a calci il 18enne tifoso romanista Antonio De Falchi che morì di infarto. La Curva Sud lo ha ricordato con una grande coreografia prima della sfida europea con il Milan, ma il ricordo è servito solo a inasprire gli animi dell’opposta fazione. E il cattivo pensiero con cui chiudo questa triste colonna settimanale è che qualcuno degli assassini di De Falchi giovedì sera, forse, 35 anni dopo, era presente all’Olimpico a seminare ancora odio e terrore, per una partita di pallone. © riproduzione riservata