La crisi ha fatto scomparire circa due milioni di animali da allevamento. Mucche, maiali, pecore e capre sono stati decimati dalla congiuntura difficile che ha fatto chiudere le aziendeagricole e le stalle e quindi rinnovare parzialmente le risorse produttive zootecniche del Paese. Un fenomeno che non significa solamente la compressione del sistema produttivo nazionale, ma anche l'impoverimento del settore di decine di milioni di euro. A sollevare il caso delle mucche scomparse è stata Coldiretti in occasione della festa di Sant'Antonio Abate, protettore degli animali e patrono di tutti gli allevatori. Stando ai calcoli fatti dagli allevatori, dal 2008 il patrimonio zootecnico nazionale è diminuito per circa un milione di pecore, agnelli e capre, 800mila maiali e 250mila bovini e bufale. Coldiretti lancia quindi un allarme: ad essere minacciata sarebbe la biodiversità degli allevamenti italiani. Pare, infatti, siano a rischio estinzione ben 130 razze allevate tra le quali ben 38 razze di pecore, 24 di bovini, 22 di capre, 19 di equini, 10 di maiali, 10 di avicoli e 7 di asini. Senza contare la possibilità di veder mortificato il compito di presidio del territorio garantito dagli allevatori e quindi il contributo di queste attività alla conservazione idrogeologica di una parte consistente del Paese. Con tutto quello che ne può conseguire.Poi ci sono gli aspetti più strettamente economici. L'allevamento italiano – fa notare Coldiretti –, vale 17,3 miliardi di euro e rappresenta il 35% dell'intera agricoltura nazionale oltre che circa 800mila persone occupate. La scomparsa della cosiddetta Fattoria Italia, aggiungono poi gli allevatori, farebbe aumentare la dipendenza dall'estero che ha già raggiunto livelli preoccupanti: l'Italia importa il 42% del latte che consuma,il 40% della carne di maiale e bovina, il 30 di quella ovicaprina e il 10% della carne coniglio.Impoverimento, dunque, ma anche razionalizzazione. Perché è vero: il sistema zootecnico nazionale ha subito pesanti tagli nella sua consistenza a causa della crisi e quindi dei mercati difficili, ma ha anche sopportato una altrettanto pesante razionalizzazione delle strutture produttive. Di fronte ad una domanda sempre più complessa e in cerca di prezzi competitivi, solamente le imprese più solide sono riuscite a vivere fino ad oggi. Tutto questo, senza dimenticare i rischi che – come fanno rilevare i coltivatori –, il sistema corre in fatto di diversità produttiva, qualità e bilancia dei pagamenti. Il dato della diminuzione della consistenza del patrimonio animale dell'agricoltura italiana, quindi, indica un altro aspetto della profonda trasformazione che il settore sta ancora attraversando e della necessità di equilibrio che questo comporta.