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Far emergere il bene sui social, una sfida oltre gli algoritmi

Gigio Rancilio venerdì 17 novembre 2017
Mentre stavo scrivendo questa rubrica (che inizialmente doveva occuparsi di tutt'altro tema), sono stato distratto da un suono proveniente dal mio cellulare.
Mi sono fermato. Ho preso in mano lo smartphone, ho letto il messaggio e – come spesso facciamo tutti – prima di rimettere il telefono sulla scrivania, ho guardato lo schermo. Avevo un numero esagerato di notifiche su Facebook. Ne ho lette alcune. Una era di un amico di social. Nel suo post c'era un commento che ha attirato la mia attenzione. Ho cliccato sul link che lo accompagnava e mi sono trovato davanti il video di un signore atletico che raccontava la sua storia. Parlava di un italiano non più giovanissimo e sovrappeso. Un padre come tanti, il quale la sera amava stare sul divano a guardare la tv. Parlava di se stesso al passato. E quando toccava alcuni punti nevralgici della sua storia si commuoveva. Non stava recitando. Soffriva davvero. Come qualunque padre che perde all'improvviso un figlio di soli 6 anni.
Raccontava di quanto ha sofferto e di quanto soffre ogni giorno, ma senza mai crogiolarsi nel suo dolore. Anzi, ci teneva a sottolineare come, dopo la disperazione, avesse trovato la forza di alzarsi dal suo divano, di dimagrire e mettersi a fare sport. Aveva bisogno di forza per aiutare gli altri. Per dare un senso alla morte del figlio.
Era lontano anni luce da certi video delle star motivazionali americane. Era vero. E mentre lo ascoltavo mi è venuto un pensiero folle. Ho pensato: se vogliamo contrastare la violenza e l'odio sui social, abbiamo bisogno di gente come lui. Di uomini e donne che davanti a un dolore apparentemente insormontabile non solo si sono rialzati, ma hanno deciso di fare qualcosa di grande e di buono per gli altri.
Il mondo è pieno di gente così. Di esempi di vita che riempiono il cuore e scuotono le coscienze. Perché è vero che servono le leggi per contrastare violenza e odio in Rete. Ed è assolutamente meritorio ciò che fanno politici, poliziotti, insegnanti, educatori e genitori per contrastare questi fenomeni. Ma non dobbiamo cadere nell'errore di pensare che, per esempio, basti una legge sull'odio online (come ha da poco varato la Germania) per farci dormire sonni tranquilli. Non solo perché le leggi si aggirano e perché la velocità con la quale si evolvono e cambiano le tecnologie le fa diventare obsolete nel giro di poco tempo. Ma anche e soprattutto perché il problema più grande siamo noi, non le tecnologie.
Convegni e leggi servono a non far deragliare i cosiddetti bravi ragazzi. Ma gli altri, come li raggiungiamo? Tanto più che come raccontano educatori e cappellani dei carceri minorili, se aiutati nel modo corretto quasi tutti i ragazzi si possono recuperare. Non solo. Se un ragazzino fa il bullo (dentro o fuori il web) è anche perché ha dentro un vuoto, delle ferite, del dolore. Un male che non si cura né con i convegni né con le leggi. Né tanto meno online. Serve l'ascolto, serve l'amore, serve la pazienza – tanta, tantissima pazienza. E servono esempi positivi. Di gente che è caduta, si è fatta male e ha creduto di non avere più un futuro. E non solo si è rialzata, ma rialzandosi ha trovato la forza di fare qualcosa di importante per gli altri. Di trasformare l'odio in positività, il dolore in sorriso, il male in bene.
Sarà forse fuori moda dirlo: ma se vogliamo davvero contrastare il male in Rete, dobbiamo impegnarci tutti e ogni giorno per far emergere il bene, facendolo conoscere soprattutto ai ragazzi. Si dice che il bene non fa notizia. Ma provate a pensare che cosa potrebbe realizzare ognuno di noi se invece di pubblicare o condividere sui social l'ennesimo post di denuncia, impiegasse tempo ed energie anche per far circolare un'iniziativa benefica, una storia educativa, un esempio di valore.
Certo, vanno confezionate bene. Vanno raccontate bene. Vanno scritte bene. E soprattutto devono essere di assoluto valore. Proviamo a farlo. E poi impegniamoci a tutti i livelli per chiedere a Google e Facebook di ritoccare gli algoritmi che governano i loro sistemi non solo per contrastare l'odio e le fake news ma anche per far emergere il bene.