«Violenza formato famiglia» (Manifesto, 31/5); «Donne, quando l'inferno è in casa» e «Quell'oscura violenza che nasce nelle famiglie» (Unità, 31/5 e 4/6); «Quando la famiglia uccide le donne» (Panorama, 7/6); «Del mangiar bambini» (Umberto Eco, Panorama, 14/6). L'elenco dei titoli sulla violenza in famiglia è incompleto, ma il suo senso è scoperto. La Discussione, per esempio, ha parlato esplicitamente (2/6) di «vendetta contro il Family Day». E su Tempi (7/6), Claudio Risè ha osservato che «la famiglia si indebolisce perché oggi viene attaccata e svalutata ed è più esposta a processi degenerativi [...] Il modello culturale e politico non può contemporaneamente negare la funzione della famiglia, i valori sui quali è fondata, e pretendere che funzioni e non si ammali [...] La famiglia è un luogo sempre esposto a tensioni anche drammatiche, semplicemente perché è il luogo fisico, relazionale e psicologico dove avvengono gli eventi fondamentali della vita umana [...] Non è un Dico, dove quando qualcuno non se la sente di affrontare quello che sta accadendo se ne va». La Nazione riferiva (30/5) che Follonica ha istituito il «Registro delle unioni di fatto», alle quali sarà «assicurato l'accesso a benefici e opportunità amministrative alle medesime condizioni riconosciute dall'ordinamento alle coppie sposate». Il Registro, però, «per comprensibili ragioni di privacy, non potrà essere consultato dal pubblico». Che gli iscritti si vergognino? Vizi segreti e pubbliche virtù.
LA CULTURA DEBOLE
Secondo Stefano Rodotà «non ci sono "veri" diritti individuali», come dicono i cattolici nel dibattito sulle coppie di fatto, ma «diritti riconosciuti dalla Costituzione e basta» (Repubblica, 8/6). Molti, però, trasformano i desideri in diritti: per esempio gli omosessuali con il matrimonio. Rodotà, che insegna diritto alla Sapienza di Roma, suppongo che lo sappia. Dunque, chi vuole «riscrivere la tavola dei valori costituzionali» non sono i vescovi ma altri: gli intellettuali e i politici suoi amici che, come lui scrive pensando però ai cattolici, «sono il segno di una cultura debole dalla quale discende una politica inadeguata». Eccone un caso concreto: non vedere al di là dell'embrione del nuovo Partito democratico e temerne un aborto spontaneo o una morte perinatale da attribuire (scrive Paola Gaiotti De Biase, Unità, 8/6) «al disegno già in atto» della «indisponibilità di un'area cattolica finora schierata nel centrosinistra e che ha promosso e partecipato al Family Day». L'adesione dei "cattolici democratici" al Pd è diventata obbligatoria?
LA GAYA "LAICITÀ"
«Il Gay Pride in piazza San Giovanni: è un dovere per i laici portare quella piazza dalla parte della civiltà», «Parità, dignità, laicità verso il Gay Pride», «16 giugno giorno decisivo per l'Italia libera e laica» (Liberazione, 13, 30/5 e 3/6). «Ultimo appello» del presidente nazionale Arcigay: «Sveglia, Italia laica: a Roma il 16 giugno per riprenderci la sinistra» (Manifesto, 15/5). «La sinistra laica chiede l'adesione Ds al Gay pride», «Pride 2007, una grande risposta del popolo laico» (Unità, 15/5 e 6/6). La "laicità" è diventata gay?