Così Facebook penalizza i siti d’informazione
Quando parliamo delle piattaforme social tendiamo a credere che il successo o l’insuccesso di un post dipenda dagli utenti. Le piattaforme però non si comportano con tutti allo stesso modo. E non solo perché decidono cosa farci vedere in base a loro criteri commerciali. Da tempo, per esempio, hanno deciso di
penalizzare chi fa informazione. Al punto che il traffico veicolato da Facebook verso quasi 800 siti di notizie, secondo Press Gazette, è diminuito del 58%. E solo nell’ultimo anno il calo è stato del 50%. Press Gazette, che è una stimata pubblicazione inglese sul mondo dei media e dell’informazione, ha appena lanciato al proposito un grave allarme: «Moltissimi post con articoli di giornale di tutti gli editori degli Stati Uniti e dell’Europa sono stati contrassegnati da Meta, proprietaria di Facebook, Instagram e WhatsApp, come spam (cioè, come contenuti dannosi - ndr) e poi rimossi». Tutti i post cancellati contenevano collegamenti ad articoli presenti sui siti web di giornali. All’inizio si pensava che Meta avesse deciso questa drastica quanto illiberale strategia, per dimostrare agli editori che danno sarebbe per chi fa informazione non avere più l’appoggio dei social. Il tutto per farli desistere dal promuovere azioni per ottenere proventi dalle piattaforme per i contenuti giornalistici. Ma dalle testimonianze raccolte da Press Gazette emerge una realtà più grave: Meta ha rimosso anche post con articoli sulle elezioni europee o amministrative. Oltre il danno, la beffa. Dopo avere censurato i post dei giornali, alle redazioni è arrivato (in automatico) questo messaggio: «Sembra che tu abbia tentato di ottenere Mi piace, follower, condivisioni o visualizzazioni di video in modo fuorviante». E ancora: «Il tuo post va contro i nostri standard della community sullo spam».
Che Meta stesse giocando una partita non cristallina l’aveva capito già ad aprile la Commissione europea che aveva aperto un’indagine sul colosso di Facebook e Instagram affermando di sospettare che le sue piattaforme violassero le regole di integrità elettorale. Anche il Garante privacy italiano aveva inviato a Facebook Italia (Meta) «una richiesta urgente di chiarimenti in relazione alle sue attività riguardo alle elezioni per il rinnovo del Parlamento italiano». La stessa cosa l’ha fatta la Spagna con l’’Agenzia per la protezione dei dati. A rendere ancor più grave tutto quello che abbiamo scritto fin qui c’è il fatto che Meta non ha mai risposto né alle richieste di chiarimenti degli editori né alla Commissione europea, al Garante privacy italiano o all’Agenzia spagnola. Sappiamo benissimo che non è facile moderare centinaia di migliaia di contenuti che vengono postati sulle piattaforme ogni giorno, ma affidarsi a sistemi automatici e a generiche intelligenze artificiali per deciderne la vita o la morte digitale è molto pericoloso. Tanto più quando ci si rifiuta, come fa Meta di spiegare motivi e ragioni delle proprie scelte. A farci capire quanto la situazione sia grave si aggiunge il fatto che molti editori hanno chiesto a Press Gazette di rimanere anonimi per paura di ritorsioni e hanno raccontato di non avere mosso eccessive contestazioni a Meta temendo che le pagine dei loro giornali fossero rimosse da Facebook. Insomma, la sfida tra editori e piattaforme è decisamente sbilanciata a favore di quest’ultime. Ma a parte il fatto che queste censure e rimozioni digitali hanno interessato anche post di singole persone con link a contenuti giornalistici, è bene ribadire che non siamo davanti tanto a una sfida tra gruppi di potere ma a decisioni importanti e gravi che incidono sulla vita democratica di tutti. © riproduzione riservata