Expo 2030 per liberare Roma
Nel recente e fortunato pamphlet "Liberare Roma" (Rubbettino) ho teorizzato un posizionamento globale di Roma possibile e desiderabile: la Città Eterna come "Capitale della Bellezza" a livello internazionale. Un posizionamento capace di rispecchiare il suo DNA, da fondare su un piano strategico con proiezione (almeno) a 10 anni. Obiettivo: far diventare Roma punto di riferimento internazionale su turismo di qualità, green economy e mobilità verde, trasferimento dell'innovazione dalle università alle imprese, digitalizzazione dei servizi, attrazione di talenti, servizi sanitari e per la cura della persona, scienze della vita. "Capitale della bellezza", appunto, intesa nel senso più ampio e profondo: come hub della qualità della vita e della centralità della persona, applicando in pieno la rivoluzione digitale e quella green.
Nel 1907 James Joyce, al termine di un suo cupo soggiorno nella Capitale, scriveva che i romani campano «mostrando ai visitatori il cadavere della nonna in cantina». E molto più di recente, Andy Warhol ha bollato Roma come «un esempio di quello che succede quando i monumenti di una città durano troppo a lungo». Evidentemente queste iperboli, figlie di pregiudizi e tic personali, non appresentano in alcun modo la realtà di Roma. Ma negli ultimi anni hanno rischiato di fotografare un sentiment della comunità romana di antica indolenza e recente rassegnazione, un desiderio diffuso di rifugiarsi nel mondo dei rentier più che di sfidare il mare aperto della competizione (globale).
Ma se Roma riuscisse a "liberare" le sue straordinarie energie, cancellerebbe d'un colpo ogni pregiudizio e ogni sentimento di retroguardia. La Capitale del Giubileo 2025, di EXPO 2030 e magari delle successive Olimpiadi potrebbe rappresentare la grande sorpresa dei prossimi anni a livello internazionale. E se quello appena iniziato diventasse il "decennio di Roma"?
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