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Ex agenti Cia a controllare? Domande serie sui social

Gigio Rancilio venerdì 15 luglio 2022
Questa è una storia che merita attenzione, ma che va affrontata con prudenza. Il tema è di quelli destinati a fare rumore: la presenza massiccia di ex membri della Cia, della Nsa (la National Security Agency), del Fbi e di altre agenzie governative americane che si sono occupati per lavoro soprattutto di disinformazione in posti chiave in aziende digitali come Meta (che possiede Facebook, WhatsApp, Instagram e Messenger) per di più con l'incarico di filtrare i contenuti che vengono visti da miliardi di persone che usano questi social. La prima domanda che sorge spontanea leggendo lo scoop di MintPress News intitolato "Incontra gli ex agenti Cia che ora decidono la politica sui contenuti di Facebook" (qui il link https://www.mintpressnews.com/meet-ex-cia-agents-deciding-facebook-content-policy/281307/) è: questi manager, con un passato nei servizi segreti e nelle agenzie governative, per chi lavorano davvero oggi? Secondo un articolo di qualche mese fa di "Newsweek", infatti «il Pentagono negli ultimi dieci anni ha creato una sorta di esercito segreto che conta su circa 60.000 persone che operano anche in imprese private». (Qui l'articolo https://www.newsweek.com/exclusive-inside-militarys-secret-undercover-army-1591881?fs=e&s=cl ). Non corriamo però a facili conclusioni e stiamo ai fatti. I nomi di questi ex agenti che ora operano ad alto livello in Meta sono facilmente riscontrabili. A partire da quello di Aaron Berman, fino al 2019 nella Cia e ora senior product policy manager for misinformation di Meta. L'elenco degli ex agenti Cia o Fbi contenuto nell'articolo è lungo. Ciò che rende questo scoop qualcosa da maneggiare con cura è il fatto che sia stato pubblicato dalla testata online MintPress News che Wikipedia definisce così: «È un sito di notizie americano di estrema sinistra. Editorialmente sostiene i governi di Russia, Iran e Siria. Si oppone ai governi di Israele e Arabia Saudita e riporta eventi geopolitici da una prospettiva anti-occidentale». E per farlo (altra accusa non da poco) avrebbe usato anche articoli palesemente falsi. Insomma, non siamo davanti al "New York Times" né al "Washington Post". Perché allora parlarne? Perché se anche la testata che l'ha pubblicato è facilmente criticabile, il problema che evidenzia esiste. E ci lascia davanti ad almeno due domande. Non prima però di una doverosa puntualizzazione: il fatto di avere lavorato nella Cia o in una qualunque altra agenzia governativa non fa di una persona necessariamente qualcuno che stia automaticamente dalla parte giusta o da quella sbagliata. Ora le due domande. La prima: per la nostra libertà e più generale per la libertà di tutti, quanto è utile e giusto che a decidere ciò che dobbiamo vedere e ciò che è lecito pubblicare sui social siano persone che hanno lavorato per anni in organizzazioni come la Cia o la Nsa che hanno spesso usato la disinformazione non solo per cause nobili? La seconda: il fatto che non solo Meta ma anche Twitter stiano assumendo sempre più persone con un passato nelle agenzie governative americane è la dimostrazione che per combattere la disinformazione nei social occorrono persone esperte che l'hanno studiata e praticata o anche che il governo americano stia infiltrando sempre di più i social per combattere la disinformazione di realtà avversarie come quella russa e al tempo stesso orientare i nostri punti di vista? Qui non si tratta di parteggiare per questa o quella parte. Ma la questione è importante. E merita che venga raccontata e dibattuta perché si continui a riflettere e a vigilare su che mondo (anche digitale) vogliamo e su chi dovrebbe governarlo.