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Eppure, ancora oggi, davvero non possiamo non dirci crociani

Alfonso Berardinelli venerdì 12 febbraio 2016
All'inizio degli anni Ottanta, nel corso di una polemica teorico-letteraria di una certa sostanza, nella quale al filologo e strutturalista Cesare Segre si contrapponeva un critico e filosofo del linguaggio come Franco Brioschi, per denigrare il suo avversario Segre parlò di visione “crociana”. Quell'aggettivo voleva essere denigratorio, liquidatorio. Eppure veniva dal nome di Benedetto Croce, il maggiore filosofo dell'arte e della storia che ha avuto l'Italia nella prima metà del Novecento.Riferisco questo caso perché ne ero coinvolto come avversario e critico degli strutturalisti. Ma nell'ottimo libro di Paolo D'Angelo Il problema Croce, appena uscito da Quodlibet (pagine 288, euro 22), vengono ricordati diversi altri episodi di inconcepibile disprezzo per Croce: tra questi la stroncatura che Umberto Eco fece nel 1990 dell'Estetica crociana ripubblicata da Adelphi, come se non fosse un libro uscito quasi un secolo prima. La cosa, osserva D'Angelo, equivaleva a stroncare Vico o Kant perché non tennero conto due secoli prima dell'antropologia e della nuova fisica novecentesche. Oltre a essere da tempo uno dei nostri migliori studiosi di estetica, D'Angelo ha dedicato a Croce una particolare attenzione fin dall'inizio della sua carriera, che si è aperta nel 1982 con un libro inaspettato e controcorrente nel quale Croce filosofo dell'arte veniva riproposto dopo un ventennio di teorie della letteratura sempre più gergali e tautologiche. Ora, con Il problema Croce, la vicenda del filosofo, del critico, dello storico e del grande umanista viene riesaminata per sfatare una serie di infondati luoghi comuni. Si è accusato Croce di lentezza nella sua condanna del fascismo alle sue origini, mentre durante i due decenni di dittatura restò un punto di riferimento per l'antifascismo. Lo si è accusato di astrattezza, mentre restano esemplari le sue documentatissime opere di storico. Lo si è giudicato sordo alle problematiche lacerazioni della letteratura del Novecento: dimenticando la sua formazione classicistica e razionalistica, fra Goethe e Hegel, il suo rilancio del maggiore critico romantico italiano, Francesco De Sanctis, e il fatto che i nuovi critici e intellettuali di primo Novecento, da Cecchi e Borgese a Longhi, Gramsci, Debenedetti, Praz e Contini, si sono distanziati da lui non ignorandolo ma leggendolo con grande attenzione. Meraviglia il fatto che Croce, il più internazionalmente noto tra i filosofi e critici italiani del secolo scorso, sia stato accusato di provincialismo. È infine scandaloso che troppi filosofi italiani degli ultimi decenni lo abbiano respinto perché liberale e idealista, mentre si sono prosternati davanti a un filosofo oscuro e astratto, antiscientifico e filonazista come Heidegger.