Entrare è un trauma (e uscire anche)
Allora, chi si dovrebbe occupare di coloro che escono dal carcere? Passata la sbarra della casa di detenzione, lo Stato chiude la “pratica” e il “liberante” deve arrangiarsi da solo. È difficile perfino trovare le parole per esprimere quanto ciò sia difficile per la maggior parte di loro. Più volte mi sono trovato davanti queste persone (detesto la parola ex detenuti) completamente spaesate: buttati in strada dopo anni di reclusione, alcuni senza sapere nemmeno dove andare a prendere l'autobus. In mezzo al traffico e ai rumori della città, sono colti da un vero stato di malessere. Più volte, accompagnandone qualcuno alla metropolitana o alla stazione Termini, ho dovuto fermare l'automobile perché si sentivano “come sulle montagne russe”.
Mi è rimasta impressa una frase di un detenuto che, quando uscirà, avrà passato i 60 anni e sa già che si troverà completamente solo e senza un lavoro: «Sono cambiato. Sento che la realtà del carcere non mi appartiene più, ho capito i miei errori e il mio impegno è quello di non tornare più a delinquere. Ma in qualche modo dovrò pur mangiare...». Ecco, quella frase sospesa mi ha lasciato intendere tante cose. Se non si comprenderà veramente l'importanza di curare non solo la custodia, ma anche il reinserimento sociale di chi è stato “dentro”, le celle saranno sempre sovraffollate e le strade sempre piene di chi commette reati e vive di espedienti.