Emergency, ricominciare dall’Italia. In un giorno qualunque
Giuseppe Matarazzolunedì 22 febbraio 2021
Mentre ci chiediamo da dove l’Italia debba ricominciare come Paese per tornare a essere competitivo, per trattenere i suoi giovani e i cervelli migliori che volano via, fra sfiducia, insoddisfazione, mancanza di futuro, c’è un'altra visione, un’altra prospettiva: quella di chi qui arriva con un sogno nel cassetto. Di chi, in Italia, al contrario, ricomincia. Lasciandosi alle spalle una vita spesso fatta di guerre, di fame, di diritti violati. Come Huda, scappata dalla Siria sotto le bombe e che oggi lavora in un ristorante popolare tra i canali di Venezia; o Mamadou che ha attraversato il Burkina Faso, il Niger e poi il deserto, fino alla Libia e all’arrivo in Italia e oggi è un operatore in un centro Siproimi e attivista per i diritti dei rifugiati; o M’barka, emigrata dalla Tunisia, che credeva che non avrebbe mai più cantato, ma è finita per calcare i palcoscenici di tutto il mondo; o Mercedes, dal Perù, dove lavorava come badante anche di notte per poter studiare all’università di giorno ed oggi veste la divisa da infermiera. Storie e vite raccontate nella mostra multimediale “Un giorno qualunque. Storie che ricominciano in Italia”, ideata da Emergency per il progetto “No alla guerra, per una società pacifica e inclusiva, rispettosa dei diritti umani e dalla diversità fra i popoli” realizzato con il contributo dell’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo (Aics). Un viaggio poetico nelle vite di queste persone, con le fotografie di Simone Cerio (38 anni, documentarista, specializzato in visual journalism) e i video del collettivo romano fondato nel 2017, WowTapes. Un riflettore acceso sulle persone migranti che si sono ricostruite un’esistenza nel nostro Paese, su tanti “momenti qualunque”, di “giorni qualunque”, di “vite qualunque”, in cui la convivenza diventa possibile. Un percorso che ci aiuta a comprendere gli sforzi fatti da chi arriva nel nostro Paese per ricominciare e l’importanza delle scelte che noi facciamo e delle persone che incontriamo sul nostro cammino, nei nostri giorni qualunque. Tramite video, fotografie e frammenti audio, la mostra (che si arricchirà periodicamente di nuove testimonianze) permette così di conoscere la storia di chi è arrivato nel nostro Paese per migliorare la propria vita o per sopravvivere alla guerra, e ne è diventato parte integrante. Storie interrotte che, in un giorno qualunque, ricominciano. In Italia.
Huda, 34 anni, siriana: è una delle storie raccontate nella mostra multimediale “Un giorno qualunque. Storie che ricominciano in Italia”, ideata da Emergency - Simone Cerio
Huda ha 34 anni, è di origini palestinesi. «Nel 1948 - dopo la creazione dello Stato di Israele - suo nonno decide di lasciare la Palestina e trasferirsi in Siria – si legge nel testo pubblicato online che presenta la sua storia –. La sua famiglia conserva ancora le chiavi della vecchia casa, come ricordo di una vita passata che nessuno delle generazioni successive ha potuto conoscere. Cresce a Yarmouk - zona di Damasco dove vive la più numerosa comunità palestinese in Siria - insieme alla madre, libanese, e al padre, giornalista siriano». Con l’arrivo della guerra abbandona gli studi di letteratura inglese all’Università e, nel 2012 - insieme a suo marito e ai suoi due figli - fugge dalla Siria. «Sono scappata – racconta – perché c’era la guerra. Non volevo che i miei figli vedessero quello che ho visto io. La mia libertà è ciò che ho di più prezioso». «La mia vita è stata piena di imprevisti. Sognavo di fare il calciatore. Ho imparato a lottare per i miei diritti occupandomi di quelli degli altri», rimbalza Mamadou. A 22 anni Mamadou ha lasciato il suo Paese, la Costa D’Avorio. A causa della guerra civile è fuggito in Ghana insieme alla sua famiglia, i genitori, tre fratelli e due sorelle. Loro si sono fermati lì fino a quando, tre anni dopo, hanno potuto fare ritorno a casa. Il viaggio di Mamadou invece è proseguito con un cugino, fino in Italia. «Sapevo che se mi fossi concentrata sugli studi ce l’avrei fatta. Il ballo è la mia radice. Il lavoro da infermiera e la mia famiglia sono il mio presente», racconta Mercedes, originaria del Perù, arrivata in Italia nel 1992, quando aveva 22 anni. Ha fatto enormi sacrifici per completare gli studi, ha lavorato in ospedale, ha partecipato a missioni umanitarie nel mondo, prima di tornare nella terra della sua seconda occasione. Ora lavora in un ambulatorio pediatrico a Milano. Si occupa della salute dei bambini. La cura e la danza, quelle delle sue radici lontane, lì dove la sua vita, in un giorno qualunque, è ricominciata.