Papa Francesco ripete spesso che dobbiamo prendere le distanze dal moralismo che giudica, per accostarci con maggiore determinazione alla misericordia che abbraccia. Se in effetti c’è un tema rimosso, se non bistrattato, dalla storia del pensiero occidentale, è proprio quello della misericordia, praticamente dimenticato dal lessico filosofico o che in esso affiora in forma minuscola e laterale. Nelle nostre società non esiste, propriamente, un’educazione in vista della misericordia, né questa è arrivata ad assumere la forza necessaria per emergere come paradigma di costruzione sociale, come fattore politico effettivamente rilevante, come pratica ed ermeneutica consensuale dell’umano. Corriamo il rischio di diventare, e ad un grado sempre più preoccupante e devastante, analfabeti della misericordia. Eppure, da questo sentimento misterioso che non ha orari per entrare o uscire dal nostro cuore, da questa àncora benevola, da questa espressione purissima della carità, dipende in assoluto la qualità etica e spirituale della vita. Nelle oscillazioni anticicliche della nostra esistenza, nei suoi terreni incolti, in quella terra di nessuno che a volte si apre sotto i nostri passi, nelle stagioni dolenti di cui non si scorge la fine, quando ci assalgono quelle smisurate domande destinate a rimanere sveglie lungo tutta la notte, noi sappiamo di dipendere dalla misericordia come da nient’altro sulla terra.
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