La legge di revisione costituzionale che estende a tutti i maggiorenni il voto per l'elezione dei senatori è infine ricomparsa nel calendario della Camera per il prossimo 20 aprile. Si tratta dell'unica riforma istituzionale - tra quelle che avrebbero dovuto accompagnare il taglio dei parlamentari - che ha la realistica possibilità di arrivare al traguardo nei prossimi mesi. Essa infatti è stata già approvata in prima lettura sia dalla Camera (il 31 luglio 2019) sia dal Senato (il 9 settembre 2020). Il procedimento di revisione costituzionale prevede una doppia deliberazione conforme da parte di entrambi i rami del Parlamento e nella seconda tornata non sono previsti emendamenti: le Camere devono riapprovare il testo così com'è e devono farlo almeno a maggioranza assoluta. Se poi i Sì raggiungono il quorum del due terzi la legge può essere subito promulgata, altrimenti si devono attendere tre mesi entro i quali può essere richiesto un referendum e, nel caso, tutto è rimandato all'esito della consultazione popolare. È un percorso che abbiamo sperimentato di recente proprio in relazione al taglio dei parlamentari. Sulla riforma, in teoria, sarebbero quasi tutti d'accordo: la prima deliberazione della Camera ha registrato ben 487 voti favorevoli – molti di più di quelli dell'allora maggioranza giallo-verde – e solo 5 contrari. I numeri del primo passaggio in Senato hanno invece descritto un quadro più complesso: 125 Sì e 84 astensioni. La coalizione giallo-rossa subentrata al governo è andata in fibrillazione sull'ipotesi di modificare anche l'elettorato passivo (per essere eletti al Senato oggi occorrono almeno 40 anni) e di fronte alle divisioni emerse nella maggioranza il centrodestra si è riposizionato sull'astensione. La seconda lettura è stata quindi rinviata a data da destinarsi. Ora l'iter potrebbe essere completato in tempi molto rapidi perché il quadro politico è profondamente diverso e sulla carta ci sarebbero tutte le condizioni per una larga convergenza. Sarebbe un bel segnale di vitalità dell'istituzione parlamentare. La riforma interviene sull'articolo 58 della Costituzione sopprimendo dal primo comma le parole «dagli elettori che hanno superato il venticinquesimo anno di età». Il testo residuo reciterebbe semplicemente che "i senatori sono eletti a suffragio universale e diretto". Una formula del tutto analoga a quella prevista dall'art. 56 per l'altro ramo del Parlamento, vale a dire: «La Camera dei deputati è eletta a suffragio universale e diretto». Insomma, tutti i cittadini maggiorenni potranno eleggere sia i deputati sia i senatori.
Ma perché è così importante consentire ai diciottenni di votare anche per il Senato? I motivi sono di carattere istituzionale e sociale. Sotto il primo profilo emerge soprattutto l'esigenza di rendere il più possibile omogenei i due rami del Parlamento. In attesa di porre mano al problema del cosiddetto bicameralismo perfetto – due Camere con le stesse, identiche funzioni costituiscono un "caso" a livello mondiale – si cerca almeno di ridimensionare la possibilità che a Montecitorio e a Palazzo Madama si creino maggioranze di governo non equivalenti. D'altronde non è solo possibile, ma anche probabile che ciò avvenga – con tutte le conseguenze di instabilità che ben conosciamo – se il corpo elettorale presenta in radice differenze numeriche tutt'altro che marginali. Nelle ultime politiche lo scarto provocato dal requisito dei venticinque anni per il Senato è stato pari a quasi quattro milioni di elettori.
L'altro profilo, la cui portata va ben oltre queste brevi riflessioni, riguarda il riconoscimento del ruolo dei giovani nella società, il loro diritto a una cittadinanza più matura e partecipata. In questa linea si collocano anche le proposte di un ulteriore sviluppo istituzionale, quello del voto ai sedicenni. Magari da sperimentare nelle elezioni comunali, come ha suggerito Luigi Bobba su queste colonne appena tre settimane fa.