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Educare oggi è difficile, ma bisogna sperare

Maria Romana De Gasperi sabato 8 settembre 2018
Lascio le mie montagne domani e sempre mi prende un nodo alla gola, come se fosse l'abbandono di un amico. Qualche lacrima resta sempre tra le ciglia al momento di chiudere casa, le vecchie persiane, il portone d'ingresso al quale chiedo scusa quando infilo la chiave nel suo legno antico quasi temessi di fargli male.
Tutti abbiamo impresso nell'animo l'istante della nostra nascita, il primo grido alla vita anche se non lo possiamo ricordare, ma qualcosa invece ci crescerà attorno con gli anni: l'amore alla propria terra. Povera, abbandonata dalla fortuna, senza futuro forse, ma resterà sempre la nostra piccola patria anche quando saremo costretti a lasciarla. Gli odori, il profumo del vento, lo scuotersi delle piante, ma anche l'asfalto se ha raccolto i nostri primi passi, come il primo grido del mattino che giunge dalla strada quando non vuoi ancora lasciare il sonno. Così la porterai con te quando la dovrai lasciare, come un piccolo scrigno di sogni.
Le nuove case appena costruite, con appena un accenno straniero, che si vedono nei paesi ancora poveri, forse senza futuro, sono il risultato di un amore conservato nelle terre della fatica dove l'unica ricchezza era rimasta il sogno di un ritorno. Chi è partito per avventura, per lavoro, per interesse porta con sé, quasi un timbro, la memoria di ciò che ha lasciato, quasi sempre illuminata dalla fantasia.
Anche oggi chi fugge dalle strade della Libia, lasciando terre e villaggi davanti ad una guerra che non trova fine, porterà nel cuore il ricordo della sua casa, forse povera ma arricchita da una vita di sorrisi e di pianti, di dolori e di nascite, quindi di vita. Il fatto più crudele del nostro tempo è forse questo emigrare senza speranza di questa gente che non sa dove dormirà la prossima notte.
Non c'è paragone tra la nostra vita, della quale ci lamentiamo così spesso, e il cammino faticoso di coloro che non trovano serenità, né pace. E quale domanda ci verrà fatta dalla giustizia eterna sul nostro modo di avere vissuto non come un cammino dove tenerci per mano, ma come un conflitto di interessi e di prepotenza? E ancora: cosa insegnare ai figli del nostro secolo sollecitati alle nuove ricerche, alla scoperte dell'immenso mondo che chiamiamo con una sola parola scientifico, se non li prepariamo anche ad esplorare il mondo dello spirito, la ricchezza dell'anima, la generosità e l'indulgenza verso l'errore del prossimo? Oggi sembra più difficile di un tempo passato educare, cioè proporre strade rette anche se ardue e faticose e ciò che il mondo apre davanti agli occhi giovani e assetati di vita è di certo più affascinante e facile. Ma infine se il tempo è giudice severo possiamo sempre contare su quella che chiamiamo Provvidenza.