Eco aveva ragione: il giornalismo culturale non insegua internet
L'ultimo numero dell'Espresso ha ripubblicato una lunga intervista, più di dieci pagine, che alla fine degli anni Novanta Eco rilasciò a Livio Zanetti. Il tema erano i giornali e i settimanali, da quelli per l'infanzia all'Espresso stesso (su cui sia l'intervistato che l'intervistatore scrivevano). Naturalmente il futuro semiologo da bambino era appassionatissimo al Corriere dei Piccoli e al Vittorioso e sembra proprio che lì abbia imparato moltissimo.
Le cose più interessanti dell'intervista riguardano il giornalismo culturale italiano rispetto a quello anglosassone. Quello italiano è più vivace ma cede al pettegolezzo, quello anglosassone è più accurato e distaccato e preferisce delle oneste recensioni. Eco ha studiato la televisione, però l'ha frequentata pochissimo e da un certo momento in poi l'ha evitata. Quello che rimprovera al giornalismo stampato è il goffo tentativo di entrare in concorrenza con i suoi più temibili rivali, prima la televisione e poi internet, facendo così pubblicità al loro nemico. Dovrebbe offrire invece cose che in altri media non si trovano e trasmetterlo in tutt'altro linguaggio. Oggi questo vale ancora più di ieri. Il giornalismo culturale stampato, rispetto ai suoi concorrenti elettronici, ormai sembra appartenere più alla letteratura e all'alta cultura che alla cultura di massa.