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«Eccomi, sono tornato», un sogno per padre Paolo

Claudio Monici domenica 29 luglio 2018
«Sono tornato, dal buio della notte. Sono riemerso dalle profondità dell'ignoto, dall'oscurità occulta del silenzio. Eccomi di nuovo tra di voi. Ora tutto sembra essere stato solo il fulmineo lampo di luce abbagliante generato dal sottile passaggio tra la notte e il giorno. E non cinque lunghi anni trascorsi in una prigione di mura piagate dal dolore di chi mi è stato accanto, compagno di dolore e muti silenzi umani, terrorizzati, mentre oltre la piccola e stretta feritoia, soffocata da una grata di filo spinato, pasticciata di ragnatele, gli spari delle mitragliatrici, i razzi e le esplosioni sorde dei carri armati, sputavano lampi rosso fuoco che dardeggiando l'orizzonte, raccontavano che la guerra e la morte non erano finite, ma continuavano il loro ignobile pasto cannibale.
Sono tornato. Sono l'uomo dell'oblio, l'uomo ricordato cinque volte in cinque anni. Come cinque compleanni. Perché quel giorno del mio svanire in niente, sequestrato, rapito o preso prigioniero di guerra nella città siriana di Raqqa, quel giorno è diventato un anniversario sul calendario. Ma io, gli altri giorni dell'anno, io, li potuti vedere tutti e sempre uguali a quello stesso primo giorno: io, ho provato a gridare: "Aspettatemi che tornerò, aspettatemi". Perché, chi non aspetta non può capire.
Non piangete. Le lacrime sono preziose e già troppe ne sono state versate in questi cinque anni per i moribondi della Siria. Perché piangere, se è vero che non mi avete mai dimenticato? Se è vero che mi avete aspettato? Se è vero che non avete obliato tutto ciò che accadde ieri? È vero: chi non ha mai provato a chiudere gli occhi stando in ginocchio e a testa bassa davanti al suo carnefice, non può capire. Ma adesso sono tornato. Sento finalmente i polmoni che si riempiono di aria fresca, pulita come lo è la libertà e il respiro mi scuote dal lungo sonno della cattività, senza più essere avvolto da quel sapore di muffa e stantio che fecondavano l'oscurità e l'oblio della mia prigione. Il sangue tumultua nelle vene, e di nuovo sento la vita che rinasce, fresca come l'aria del primo mattino.
Ho trovato la porta della cella spalancata. E dei miei carnefici neppure più l'ombra e neppure più sento il loro ansimare pesante di quando davano gli ordini alle esecuzioni e alle torture. Gli occhi hanno fatto fatica a riabituarsi alla luce del giorno, restavano accecati dalle saettate dei riverberi del primo sole. Lentamente li ho aperti, proteggendomi con l'ombra di una mano magra come la fame. E per la prima volta dopo tanto tempo ho guardato oltre il sigillo di queste mura lorde di peccato mortale che mi hanno accolto prigioniero, e ho visto voi che mi stavate aspettando sulla soglia della libertà. Eccomi, sono tornato e ora vedo anche i segni dei ceppi che mi hanno lacerato i polsi, ma sono ferite che non danno più dolore. Le ferite della carne fanno presto a rimarginarsi. Mentre ci vuole più tempo per guarire l'anima, per nettarla dalle orribili visioni della guerra, i suoi inutili massacri, i suoi inutili sacrifici, i suoi inutili carnefici vittime loro stessi della loro follia».
"...gli amici si stanchino di aspettare e, stretti intorno al fuoco, bevano vino amaro in memoria dell'anima mia... Aspettami. E non t'affrettare a bere insieme con loro. Aspettami ed io tornerò ad onta di tutte le morti", (K.Michailovic Simonov).
Un sogno in memoria del gesuita padre Paolo Dall'Oglio, oggi, domenica 29 luglio 2018, quinto anno della sua scomparsa avvenuta a Raqqa, Siria, il 29 luglio 2013.