Ricevo un breve opuscolo dalla signora Francesca Radaelli, nipote dell'avvocato Emilio Bonomelli. Sei pagine e qualche fotografia per ricordare un personaggio che ha fatto poco parlare di sé , ma che ha dato tanto della propria vita per il bene degli altri. Lo conobbi quando era direttore della villa pontificia di Castelgandolfo e poco sapevo di lui se non che era stato uno dai rari amici di mio padre nel periodo fascista. Il palazzo, ma soprattutto i grandi giardini, riportati dall'amore di Bonomelli all'antico splendore, sembravano a noi ragazzine che venivamo da un modesto appartamento di Roma, il risultato di un sogno.Anche noi camminavamo senza far rumore quasi il posto fosse sacro, quando Pio XII scendeva nei giardini nei pochi minuti che si concedeva per camminare con un libro in mano senza alzare gli occhi. Allora assieme alle guardie ci nascondevamo dietro le piante per non diventare una disattenzione per quella figura ieratica vestita di bianco che passava in silenzio. Quattro pontefici vissero i loro giorni di riposo all'ombra di questo parco durante la vita di Bonomelli: Pio XI, Pio XII, Giovanni XXIII e Paolo VI. Ma la vecchia villa Barberini si apri anche ai rifugiati politici di ogni partito e soprattutto ai profughi e ai poveri che fuggivano da Roma al tempo dei nazisti e vi trovarono rifugio e pane, protezione e notizia dai loro cari attraverso la posta libera del Vaticano. Emilio Bonomelli che aveva passato un periodo di grande sofferenza in Francia dove aveva trovato rifugio nel 1926 per difendere i propri ideali e la dignità di libero cittadino, ben poteva comprendere chi cercava aiuto. Gli scriveva De Gasperi nei giorni difficili del 1944: «Caro Emilio, so immaginare cosa avvenga attorno a te, e a te il mio pensiero fraterno è volato tante volte e ti è più che mai vicino ora. Nessuno in Vaticano e pochi, fuori di esso, si trova come te innanzi a così immensi e complicati problemi. Che il Signore ti aiuti col darti forza, salute a consiglio. Come ti aiuterei volentieri anch'io se potessi e sapessi farlo; ma invece appena uscito da un rifugio sto cercandone un altro perché tutto è così incerto! In mezzo a tanti disastri e così crudeli stragi non ho il coraggio di raccomandarti la mia famiglia che è senza farina... se potessi mandarla salveresti le mie bambine dalle strette». Più tardi, nel febbraio mio padre riprende l'argomento in un'altra lettera: «Grazie di cuore che in mezzo a così tragiche cure hai pensato anche alla mia famiglia. A nome delle mie piccole ti esprimo la mia più viva gratitudine. Spero ti possa salvare dai mali estremi, come le bombe, ma qui più giova la protezione del Signore. Io sto ancora in altro loco a mendicare e la Provvidenza mi accompagna sempre. Così sia di te e dei tuoi cari. Ti abbraccio con affetto e speranza. Alcide».