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È sempre un viaggio il cercare di essere cristiani

Marina Corradi domenica 29 dicembre 2024
Due giorni dopo Natale, le sette, buio ancora. Mi affaccio al balcone. L’aria tagliente è immobile, la strada deserta. Dalla casa di fronte lampeggiano intermittenti le luminarie natalizie. I nipoti sono al mare, i loro giocattoli in soggiorno li attendono, inerti. Un altro Natale è venuto e passato. Lo abbiamo atteso, abbiamo fatto il Presepe sull’armadio dell’ingresso, quello alto, dove i gatti non arrivano. Alla mezzanotte abbiamo messo Gesù Bambino nella mangiatoia. Un altro Natale. Non mi dovrebbe sembrare tutto nuovo, come rinato? Ma so ormai la lentezza degli ultimi giorni dell’anno che si trascina alla fine. Tutto sembra immobile. I rami del noce selvatico sotto casa sono nerissimi e senza traccia di gemme. Corso Sempione è coperto di foglie morte che gemono sotto ai piedi. Faccio fatica a sperare. Se apro il web, è peggio. Quella bambina, Sila, morta di freddo in un campo profughi a Gaza, la notte di Natale. Quanti altri di cui non ci raccontano, morti come lei, tra Gaza e le città ucraine bombardate, senza corrente, senza riscaldamento.
Figli affidati al mondo, e perduti. Come sempre, del resto, in millenni di guerre. Un altro Natale è venuto, ma quanta fatica faccio oggi, a sperare. In questi giorni dell’anno riprendo sempre in mano Eliot, “Il viaggio dei Magi”. Ascoltate: “Fu un freddo avvento per noi, Proprio il tempo peggiore dell’anno Per un viaggio, per un lungo viaggio come questo Le vie fangose e la stagione rigida Nel cuore dell’inverno. E i cammelli piagati, coi piedi sanguinanti, indocili Sdraiati nella neve che si scioglie. Vi furono momenti in cui noi rimpiangemmo I palazzi d’estate sui pendii, le terrazze, E le fanciulle seriche che portano il sorbetto. Poi i cammellieri che imprecavano e maledicevano E disertavano, e volevano, donne e liquori, E i fuochi notturni s’estinguevano, mancavano ricoveri, E le città ostili e i paesi nemici Ed i villaggi sporchi e tutto a caro prezzo: Ore difficili avemmo. Preferimmo viaggiare di notte, Dormendo solo a tratti, Con le voci che cantavano agli orecchi, dicendo Che questa era sola follia”. Questi sono i giorni del viaggio dei Magi. Nella iconografia cristiana sono sempre raffigurati come re, sontuosamente vestiti e carichi di doni. Prima di leggere Eliot però non avevo immaginato quanto faticoso e apparentemente irragionevole debba essere stato quel viaggio. Dei potenti, dei sapienti che abbandonano le loro dimore regali, mossi da un’inquietudine, dalla osservazione delle stelle: quella gran luce dice che è nato un nuovo re. E immagino i preparativi della partenza, nell’ironia degli scudieri e dei facchini che non capiscono perché ci si debba mettere in viaggio in pieno inverno, su sentieri fradici di neve. Con gli occhi di Eliot vedo il procedere lento dei cammelli nel fango, e, la notte, sento il vento che traversa le tende dell’accampamento. Sotto a un cielo di nuvole basse la stella non si vede più. E i cammellieri stanchi che bevono, e i lazzi, e le risate alle spalle dei padroni – che cosa mai vanno cercando, loro che hanno tutto. E traversando villaggi stranieri e ostili con gli usci sbarrati, inseguiti dall’abbaiare dei cani, un dubbio in testa lavora come un tarlo: “Che questo era solo follia”.
Follia l’avere intuito, l’avere voluto mettersi in viaggio, in cerca di chi? Di un bambino? In cerca di un Dio sconosciuto. E se fosse stato solo un sogno? Lo conosco anche io, il dubbio dei Magi. Lo straordinario coraggio di questi pagani dotti, ricchi, eppure ostinatamente in cerca di Dio. Eliot conclude i suoi versi raccontando i tre che tornano a casa. “Tornammo ai nostri luoghi, ai nostri Regni, Ma ormai non più tranquilli, nelle antiche leggi, Fra un popolo straniero che è rimasto aggrappato ai propri idoli.” Lo hanno visto il nuovo Re, sanno; ma ancora tutto davanti a loro è fatica, tutto è ancora viaggio. È sempre viaggio il cercare di essere cristiani, è spesso come un andare dei Magi nella notte. Non potrò dire mai: sono arrivata. Ma già è dono la tensione del rimettersi in viaggio, ogni mattina. Soprattutto, invecchiando. Già è dono la costanza, mentre il mondo attorno sembra desolatamente uguale, di ricordarsi il segno della stella, e non smettere di camminare. © riproduzione riservata