E Moravia disse: la gente soffre senza pane, ma di più senza orientamenti
Moravia fu intervistato due volte, sia sulla natura che sulla storia. Un uomo come lui amava la natura (la cercava in Africa) ma la escludeva dai suoi romanzi («il romanzo moderno non sa che farsene della natura»), mentre odiava la storia («la storia è brutale, tremenda, non ha una parola di pietà per i vinti, i massacrati»). Ma dalla storia presente Moravia era ossessionato, perché serve a capire il genere umano, la sola cosa che occupava le sue narrazioni.
Con il suo razionalismo sbrigativo, Moravia era un pensatore più acuto e complesso di quanto sembrava. Dice per esempio che fra il 1920 e il 1930 crollarono tutti i punti di riferimento (questo si sapeva già) aggiungendo: «ma è meglio stare senza pane che sentire la mancanza di una scala di valori». All'obiezione di Golino secondo cui «l'uomo comune preferisce il pane alla scala di valori», la risposta di Moravia fu magnifica: «No, è l'intellettuale che se ne frega, l'uomo comune soffre moltissimo dell'assenza di un orientamento».
Da questa frase si potrebbero spremere considerazioni ulteriori. Per esempio che la cultura, se è vissuta come un valore primario e definitivo, un valore che fa a meno di altri valori, provoca lo specifico nichilismo delle élite intellettuali: per le quali la cultura come istituzione e status sociale arriva a sostituire la morale e la religione, l'onestà e la simpatia umana, le idee di verità e di bene. Non si può «credere nella cultura», se la cultura elimina e demolisce la possibilità di credere ritenendola estranea alla ragione. Il fatto è che non si può credere in astratto, si può solo credere in una verità incarnata.