È l'anno dei cibo italiano, non roviniamolo con i nostri soliti imbrogli
È dell'altro giorno la denuncia di un conto da 1.100 euro per quattro bistecche e poco più fatti pagare in un'osteria di Venezia a dei malcapitati giovani turisti giapponesi. Una vergogna, che fa il paio con i 115 euro per un piatto di spaghetti in una pizzeria, sempre di Venezia. Eppure l'Italia cresce, mostrando le sue vergogne al mondo, che inficiano quella fabbrica mai codificata che è il turismo.
Il 2018 è l'anno del cibo italiano, ma al di là dei proclami ancora non si conoscono bene i contorni. E non è bello e utile celebrare un primato dentro un mare di contraddizioni irrisolte. Ci sono poi i locali di lusso, che spacciano alta cucina mettendo ricarichi su ogni voce: dall'acqua minerale al bicchiere di vino. E quasi sempre sono frequentati da stranieri che alla fine, se arrivano a leggere bene il conto, non si capacitano di tante gabelle che – riguardando solo i contorni di una cena – assommano ad oltre 30 euro a persona...
Sempre ieri si legge di una denuncia inversa: troppi locali etnici vendono pesce crudo dalla qualità dubbia a prezzi stracciati. E sono i locali dove vanno i giovanissimi squattrinati, a rischio di intossicazioni e quant'altro. Chi li tutela? Non vogliamo pensare a una ripresa che mostri soltanto la facciata, mentre le fondamenta sono marce e nessuno interviene. Se il turismo vive nell'incognita delle maglie larghe che compongono la rete della sicurezza, ogni promozione rischia di avere i piedi di argilla.
Come si può correre ai ripari? Nascondendoci dietro all'orgoglio di una ripresa? È ben poca cosa. Allora questa campagna elettorale diventa paradossalmente un'occasione per far uscire allo scoperto chi non ha mai pensato di lavorare a un progetto, ma vive lanciando proclami ad effetto. Occorre uno spirito critico che metta in tavola le carte: i proclami sono lo specchio della realtà? Se la risposta è no, siamo di fronte a qualcuno di irresponsabile che mina il bene comune, dietro al quale ci sono famiglie che lavorano onestamente.
È gratificante dire che siamo il Paese più bello e più buono (nel senso del cibo) del mondo, ma bisogna essere credibili. E – lo ripeto – non basta l'incoraggiante +1,4% di crescita stimato a Davos per il nostro 2018. Occorre almeno dare una forma a quello che ha chiesto il Papa: «Una società giusta e inclusiva».