L'Inpdai, l'ente di previdenza dei dirigenti d'azienda, chiuderà presto i battenti, trasferendo contributi e pensioni nella grande famiglia dell'Inps. Una decisione sofferta ma inevitabile, sottoscritta pochi giorni fa da Confindustria e Federmanager in un "avviso comune" indirizzato al Governo. La richiesta delle due organizzazioni è imposta dalle pessime previsioni dei bilanci dell'Inpdai. All'origine delle cifre di pesanti deficit, vi è una caduta irreversibile del numero degli iscritti all'Inpdai; si stima una riduzione di circa 20 mila dirigenti. Il fenomeno non sarebbe del tutto estraneo alla crescita dei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa registrati dalla gestione Inps del 10% e ad una più estesa utilizzazione dei quadri aziendali.Col passaggio all'Inps saranno garantiti il pagamento delle rendite agli attuali pensionati dell'Inpdai ed il rispetto dei diritti pensionistici già maturati dagli iscritti al momento del passaggio al nuovo ente. Il trasferimento sarà attuato istituendo per l'arco di un triennio una gestione separata della previdenza dei dirigenti d'azienda, all'interno della grande "assicurazione generale obbligatoria", pilastro della previdenza per il lavoro dipendente. I dirigenti maturerebbero così un'unica pensione Inps formata da due quote, una in base ai contributi versati all'Inpdai e con le regole in vigore fino al momento della chiusura dell'istituto, l'altra quota in base ai contributi e con le regole in vigore nell'assicurazione generale a partire dalla data del trasferimento.I "nodi" del trasferimento. La patata è nelle mani del Governo (non appena ne avrà la notizia ufficiale), già impegnato su diversi fronti della previdenza. Nell'accogliere o modificare le richieste dell' "avviso comune" - attraverso la legge delega sulla riforma della previdenza, secondo i proponenti - l'Esecutivo dovrà definire, in particolare, un importante fattore ancora incerto: la data dalla quale il trasferimento avrà effetto, sia per la certezza dei bilanci sia per i diritti pensionistici dei singoli dirigenti (riscatti, trasferimenti contributivi ecc.). E' facile prevedere che il minor rendimento dei versamenti in vigore nell'Inps, produrrà una brusca accelerata dei pensionamenti dei dirigenti che ne hanno i requisiti. Ne soffrirà di conseguenza la spesa pensionistica di categoria, oggi attestata su i 3 milioni e mezzo di euro l'anno. L'altra faccia dei pensionamenti è lo stato di disoccupazione dei dirigenti che vengono licenziati e che non hanno contributi o età sufficienti per la pensione. Oggi è l'Inps a corrispondere agli interessati l'indennità di disoccupazione secondo le regole comuni. Le rappresentanze di categoria propongono, con la riforma, di elevare l'indennità giornaliera ad una misura adeguata al livello delle retribuzioni proprie delle alte professionalità.