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E Giuseppe il falegname arrivò a piedi in Egitto: padre «sportivo» più che putativo

Maria Romana De Gasperi sabato 7 marzo 2009
Fra una settimana circa, il 19 marzo, la Chiesa cattolica ricorda la figura di san Giuseppe. Un personaggio che nel racconto dei Vangeli è quasi una figura di riflesso che esiste per la luce che gli dà la presenza di Maria. L'unico dato certo è il suo arrivo a Betlemme per il censimento obbligatorio, e poi quel suo camminare nel deserto per fuggire alla prepotenza di Erode e mettere in salvo la sua famiglia e il ritornare infine a Nazareth, la sua terra d'origine, dove faceva il falegname. Non è poco, si può dire, se non si pensa che nella storia della sacra famiglia egli non pronuncia parola e che il figlio che aveva il compito di salvare il mondo non lo nomina mai. La figura di questo uomo certamente buono sparisce nel silenzio in cui era vissuto senza rumore, senza il ricordo di un rimpianto.
Allora tutto quello che si conosce di Giuseppe lo abbiamo costruito noi attraverso secoli di preghiera e forse di ricerca storica, che ci ha dato pochi risultati certi. Il suo culto ufficiale si è sviluppato molto tardi, ve ne è traccia in Oriente nel IV secolo presso i copti mentre in Occidente se ne ha notizia verso i secoli IX e X. Chi ne parlò a lungo e con passione furono san Tommaso, santa Brigida e infine santa Teresa di Gesù. Nel 1538 venne fondata a Roma la Confraternita di san Giuseppe dei falegnami, che eresse una chiesa al suo patrono. Infine la congregazione dei riti, per volontà di papa Pio IX, dichiarò San Giuseppe patrono della Chiesa universale.
Mi pare non ci sia una ragione precisa per la scelta della festa di san Giuseppe nella data del 19 marzo, visto che non si conosce neppure il giorno della sua morte. In quanto poi alla descrizione fisica, anche se egli appare sempre nelle rappresentazioni della natività, ogni autore è ricorso più alla sua fantasia che a dati storici. La nostra iconografia di popoli occidentali ha raffigurato sempre questo padre protettore della vita umana di Cristo immaginandolo già avanti nell'età, senza pensare che ciò era in contrasto con un lavoro certamente pesante che conduceva allora per la sua famiglia, non solo, ma era capace di raggiungere l'Egitto a piedi partendo da Gerusalemme. Sarebbe piaciuto a tutti noi avere una descrizione più attenta non solo di quel Gesù Bambino nato in un paese povero quando le comunicazioni avevano la lentezza del cammino nella polvere e tutto prendeva forma solo sulla parola non scritta. Né gli evangelisti pensarono di descrivere i colori, le vesti, l'aspetto di quella giovane donna chiamata Maria, occupati com'erano nel ricordare e trasmettere le parole, gli insegnamenti del Maestro. Essi hanno scritto l'essenziale, quasi preoccupati di non ricordare ogni cosa senza perdersi in descrizioni d'ambiente o di personaggi che sarebbero stati fonte di distrazione. Non pensavano a futuri lettori, ma a cercare discepoli.
Oggi che ci stiamo costruendo un mondo tanto diverso, che ci sentiamo ormai capaci di raggiungere la radice della vita e abbiamo così poco rispetto del mistero, la storia di San Giuseppe curvo a difendere il piccolo Gesù ci sembra lontana e non ci chiediamo più se aveva la barba o un giglio in mano. Anche chi va in chiesa fa offerte e chiede grazie a sant'Antonio o a padre Pio.
A San Giuseppe si mangiano i bignè.