Aiutare a morire. Titolo dei gior- nali e proble- ma che oggi si pone la nostra società che ha sempre fatto di tutto per farci dimenticare la fine della vita, come fosse qualcosa che non ci appartiene, che è successo ad altri e forse un giorno anche a noi. Cancelliamo la morte dei nostri cari quando è possibile mentre gli amici cercano di distrarre la nostra attenzione su altri problemi, perché le assenza di chi abbiamo perduto non siano un elemento costante dei nostri giorni. La prima notizia di morte che ho dovuto affrontare è stata quella del mio nonno carissimo che mi teneva per mano, quando avevo tre anni, per le vie di Trento, mentre mio padre era nelle prigioni dello stato fascista a pagare per la difesa della libertà al suo popolo. Mi dissero che la mia domanda fu: «Chi gli ha messo le ali?». Avevo tre anni e forse non ascoltai la risposta. La morte per i bambini non ha senso, non colore né futuro e il dolore, se c'è stato, sparisce presto con il sole del giorno. Aiutare a morire vuol dire molte cose, una diversa dall'altra. Ho aiutato a morire ammalati negli ospedali quando ero con le mie compagne di croce rossa; ho assistito mia sorella suora nelle sue ultime ore sofferenti quando mi diceva: «Canta Maria Romana, canta» ed io con le lacrime agli occhi davanti alla finestra dell'ospedale cantavo le canzoni della montagna che le ricordavano la nostra giovinezza, le stelle cadenti del mese di agosto, l'amore della nostra famiglia che pochi anni addietro l'aveva offerta al Signore. Ho aiutato a morire una mia amica che aveva rifiutato l'ultimo incontro con un sacerdote e allora mi sembrò che il Signore potesse accettare anche il mio modesto segno di croce al suo ultimo respiro. Ho perduto due figli. Il primo per un incidente in moto, il secondo molto più tardi per un male preso nelle terre d'Africa senza possibilità di soluzione. Il Signore mi ha aiutato ad accettare di continuare a vivere senza disperare perché a loro infine sono stati risparmiati i dolori, delusioni difficoltà di una vita più lunga negli anni. È umanamente difficile giudicare se è giusto, possibile, quasi un'offerta contro il dolore, aiutare a morire chi non può affrontare una sofferenza senza fine. Ricordo le grida inumane di una persona che soprattutto di notte teneva svegli gli inquilini del palazzo, finalmente le vennero tolte le macchine che la tenevano in vita e se ne andò in silenzio senza dolore. Sembra che il Signore ci lasci la libertà di decidere sulla nostra fine e su quella dei nostri cari quando la natura non ci aiuta più a sopravvivere al dolore, all'incoscienza, alla vita. Che fare? «Si può e si deve respingere la tentazione di usare la medicina per assecondare una possibile volontà di morte del malato fornendo assistenza al suicidio o causandone direttamente la morte con l'eutanasia». Queste le parole di papa Francesco, prese in considerazione e rilanciate dai vescovi italiani. Restiamo accanto ai nostri malati, rendiamo loro la fine vita più serena e indolore possibile come per la madre la loro nascita.